Per Paola

A casa di Paola, in ottobre. Abbiamo pranzato, riso, scherzato, discusso, pensato, approssimato un pò di futuro.

Il 22 dicembre Paola ci ha lasciat*.

Qui sotto alcuni pensieri, in attesa di festeggiarla adeguatamente e poi ognun* la terrà nel suo cuore, o nella sua mente, come si vuole.

Pensando alle piante selvatiche e a Paola, mi torna alla memoria un ricordo che condivido con voi.

Qualche anno fa, credo 4-5 anni fa, il cie era già chiuso dopo le lotte dei prigionieri e dopo la morte di Majid, fatto precipitare dal tetto dagli sbirri, poco dopo quei fatti è stato fatto un presidio di protesta davanti al cie in occasione della visita di Manconi e della famigerata parlamentare sel Serena Pellegrino, che aveva formalmente appoggiato le rivolte dei prigionieri per poi smarcarsene opportunisticamente.
Da Trieste c’era anche Paola,…Dopo aver aperto striscione, gridato, litigato con Pellegrino, provato a parlare con lavoranti del cara che andavano a lavorare,… Paola mi ha portato nel pratone davanti al cie dove ci mettevamo sempre per le manifestazioni per parlarmi di piante selvatiche e in particolare della piantaggine, la pianta che conoscevo anche io e che ogni tanto mangio tipo verdura cotta.
Ricordo che mi sembrava un momento inopportuno, così durante un presidio un po’ agitato, mettersi sedute a terra a parlare di piante, è un mio difetto l’inquietudine, il non riuscire a stare ferma, l’ansia di non essere abbastanza attiva nel qui e ora…
Comunque ho accettato l’invito di Paola e sono andata nel prato e in effetti c’erano svariate piante di piantaggine sia a foglia larga che a foglia stretta e mi ricordo che abbiamo parlato della felicità orgasmica che prende le raccoglitrici quando raccolgono, in questo ci si trovava in perfetta sintonia…ne sapeva, aveva esperienza e gusto e anch’io ho la passione delle erbe selvatiche , anche grazie agli insegnamenti di mia madre e soprattutto di mio padre (ironia della sorte…).
Poi trovo queste definizioni della plantago: pianta erbacea assai modesta che non ha esercitato fascino per la bellezza dei suoi colori o per il profumo dei suoi fiori, è sempre stata presente nella vita quotidiana della gente in quanto umile pianta della strada, molto diffusa nelle pratiche mediche popolari, il suo nome deriva dalla parola latina Planta, sia per la somiglianza delle foglie alla pianta del piede, sia per l’uso che ne facevano i viandanti che avevano la fortuna di incontrarla sul loro cammino…le sue proprietà sono espettoranti, antibatteriche, antiinfiammatorie della cute e delle mucose della bocca, della gola e delle vie respiratorie…

Mi sembra una descrizione che si addice anche allo spirito della nostra compagna Paola, semplice, attenta alla semplicità de* viandanti, fiduciosa nella solidarietà spontanea, di specie, anche delle persone più lontane dallo stile di vita anarchico, con una fiducia che faceva capitare le cose (diceva che nessun* le aveva mai negato l’aiuto nel suo caseggiato e che valeva la pena di chiedere, di non avere pudore e di dare la possibilità alle persone di essere umane ed empatiche e solidali), semplice ed anche nomade, nel Salento, rinunciando ai suoi privilegi che le facevano schifo e dei quali non avrebbe potuto usufruire individualmente, radicale anche se en passant nei modi nel rifiutare la proprietà privata…anche le sue disposizioni PRATICISSIME, la dicono lunga su di lei…

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Senza croci e preghiere, senza orpelli religiosi, se ne va un’anarchica; così vuole la nostra Paola che ci ha lasciat*; questa la sua volontà  per quando non avrebbe potuto più mettere parola.

Mi risuonano le sue parole con la sonorità dell’accento triestino, sul quale tante volte io, friulana, per ridere la prendevo in giro. Era un modo per giocare sulle differenze, calarle e rimescolarle nelle cose politiche che ci stavano più a cuore. Il nostro coniugare l’ecofemminismo verso il quale mostrava, curiosità, interesse ed anche, talvolta, affinità; lei sensibile alla terra, raccoglitrice di erbe, comunarda che spesso lasciava le pietre e il mare del nordest per l’alto Salento, gli ulivi ed il lavoro ad Urupia.

Poi tornava, ci pungolava per il periodico articolo per il Germinal, ci correggeva e si discuteva.

Ho questa immagine: una volta mi ospitò a casa sua perchè avrei dovuto fare un esame di algologia a Muggia; mi accompagnò, curiosa anche per questa cosa delle alghe, poi via sul Carso per un giro di osmize e in un ambiente bello che lei voleva farmi conoscere; arrivammo ad uno stagno e per l’impulso di guardare più da vicino le piante nascoste, ci finì dentro con i piedi. Che ridere. Dopo il primo disappunto, rise anche lei.

Io la penso così, che ride sul bordo di uno stagno, microcosmo di materia che è la stessa della quale noi siamo fatt* e penso che nel suo aggregarsi e disgregarsi, quegli atomi che hanno avuto la forma bella di Paola, adesso danzeranno sull’acqua e saranno nelle cose degli elementi. Lì. E nel nostro pensiero resistente.


A casa sua Paola ci teneva particolarmente a mostrarci il disegno lasciatole dalla bimba Estrella che nella vita probabilmente parte con il piede giusto, perlomeno non culturalmente castigato, come è stato per tante.

Due donne tettute, mestruate  e felici, in mezzo un uomo palesemente triste. Ci piacevano le donne felici, orgogliose … per il resto abbiamo a lungo disquisito su come si esprime quel particolare stato della tristezza, quando si sta per mettersi a piangere, nelle tante  sfumature linguistiche del friulano, triestino, venetofono e via discorrendo. Uno stato che tutt* noi più o meno attraversiamo.

Paola poi ci disse che quel giorno era stata particolarmente bene.

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