Buon principio

ecofemminismo11con la consapevolezza che se non ci diamo una mossa faremo una triste fine.
Elisabeth Kolbert nel suo libro “La sesta estinzione – una storia innaturale” racconta bene della fine che la specie Homo ha indotto alle altre; così descritto nella scheda del volume: La storia narrata in queste pagine comincia circa duecentomila anni fa quando, in una ristretta porzione dell’Africa orientale, compare una nuova specie animale. È una specie non dotata di grande forza e neanche di alti tassi di fertilità. Tuttavia, i suoi membri attraversano fiumi, altopiani, catene montuose, cacciando altri mammiferi. Arrivano in Europa, si mescolano con creature simili a loro e le sterminano. Incrociano il cammino di altri animali fisicamente più forti ma incapaci di riprodursi con rapidità – enormi felini, orsi giganteschi, tartarughe grosse come elefanti – e li spazzano via. Attraversano i mari, raggiungono isole abitate da creature abituate all’isolamento totale e ne determinano la sparizione. Grazie poi a molteplici fattori, si riproducono con una frequenza così impressionante che la vita del pianeta risulta profondamente alterata: intere foreste vengono abbattute, numerosi organismi vengono trasportati da un continente a un altro. Scoprono, infine, riserve sotterranee di energia, modificando così profondamente la composizione dell’atmosfera e, con essa, gli equilibri climatici e chimici degli oceani, che numerose specie animali e vegetali sono costrette a emigrare verso i poli e numerose altre si ritrovano abbandonate nel deserto. La specie che ha alterato in tal modo la vita del pianeta si è autonominata, a un certo punto della sua storia, «specie dell’homo sapiens» …. e la sua epoca è l’antropocene.
L’anno che si lascia dietro è quello più caldo dal 1800, e così via con tutti i record negativi che si potrebbero elencare sul piano ambientale ma anche su quello umano, che la specie è crudele anche verso e soprattutto se stessa per la parte che domina su quella che è dominata.
Il testo di Kolbert (qui un maggiore dettaglio dei capitoli) non si occupa anche di questo, ovviamente.
Di questo ce ne dovremmo occupare soprattutto noi che siamo un frammento di movimento antagonista, ma facciamo che la biodiversità figlia dell’evoluzione sia un po’ uno spirito guida anche nelle cose umane, che pure, hanno anche un risvolto squisitamente culturale.
Prendiamo il genere e l’orientamento sessuale, per esempio; più ci si addentra nella “questione”, più si trovano sfumature… secondo l’Australian Human Rights Commission i generi sarebbero 23!, dicono scandalizzati nei loro blogs quelli che: si è divisi in due (maschio/femmina) e stop, perchè la natura (che è Dio) ha voluto così. Non si direbbe.
Perciò quando finiremo di attribuire volontà alla natura, -che non è né madre né matrigna, ma che, per quello che è: funziona-, e guarderemo (con modestia[W Haraway!]) al suo way of life, magari riusciremo ad in-formare anche il nostro stile o, semplicemente, la nostra vita, che si colloca lì, nella rete evolutiva della biodiversità, negli infiniti nodi delle identità, nella lotta mai finita contro il dominio.
Possibilmente evitando la sesta estinzione.
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Visto che, dall’input di un bel libro, ci siamo lasciate trasportare ad altro, ne approfittiamo per aggiungere qui uno stralcio di un nostro scritto pubblicato sul nr. 120-121 di Germinal.
Buona lettura e buon anno a tutt*.

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Il prefisso prima del nome
A questo femminismo, noi abbiamo aggiunto il prefisso “eco”.
Siamo, politicamente parlando, prevalentemente di provenienza anarchica; ma al prefisso anarco- abbiamo preferito quello “eco”-; all’accento sulla dimensione politica abbiamo preferito quello sulla contestualizzazione ambientale che, per noi, ovviamente non ha niente a che vedere con l’ambientalismo.
Era il 1992 e non ci risulta che allora ci fossero, nell’ambito nazionale altri collettivi caratterizzati in questo senso….
Oggi non siamo le sole a definirci ecofemministe.
Altri collettivi mostrano una sensibilità in questo senso.
Non è questo il contesto nel quale fare una ricognizione dell’esistente, né degli studi accademici in merito; restiamo alla connotazione -la nostra- con una certezza: tanti femminismi, tanti ecofemminismi; il dibattito è aperto, le sfumature tante, …tutta vita!
Parlando di noi, se dovessimo aggiungere ancora qualcosa alla connotazione politica, negli ‘anti’ dovremmo mettere ‘antiscientista’ e magari all’”eco” del prefisso dovremmo aggiungere un “etno”.
E’ quest’ultima forse la caratterizzazione più problematica, non per noi che la addotteremmo volentieri, ma per il problema di farsi capire su questo piano così scivoloso politicamente e così delicato relazionalmente.
Il nome friulano “Dumbles” e il dirsi “feminis furlanis libertaris” riassume il fatto che si vuole essere quello che si è nella propria lingua e nella propria terra.
Sembra una banalità, ma ha spesso generato incomprensioni, conflitti e tensioni collegate ad accuse di leghismo, tradizionalismo, arretratezza rispetto alla dimensione globale delle soggettività.
Non c’è sufficente spazio per entrare nei particolari di questa antica questione “etnonazionalitaria” (non nazionalista!)…. ma che respiro di aria fresca vedere e sentire le combattenti curde che, mentre combattono per difendere Kobane, quando stanno al campo, (1) riprendono ad imparare la lingua curda cancellata dal regime dominante perchè a scuola dovevano scrivere e parlare in arabo…
E anche questo riapprendere o mantenere la propria lingua, in una prospettiva libertaria, non è certo un percorso istituzionale; è qualcosa di diverso da quanto succede qui da noi, perlomeno con l’insegnamento del friulano che è diventato un’altro modo per sterilizzare le meravigliose molteplicità e sfumature espressive con la gabbia della koinè.
Le lingue sono un po’ come creature viventi, si sviluppano, cambiano, si evolvono, si moltiplicano… sono un anticorpo contro l’omologazione soggettiva ed ambientale.
Non è forse la lingua, oltre che espressione ontologica anche significazione ambientale?
Qual’è allora la natura dell’”eco”?
Intanto c’è un “eco” antiscientista, cioè una critica a quella scienza che, per parafrasare un testo collettaneo del dopo Cernobyl, non non solo non ha né coscienza né senso del limite (2), ma soprattutto quella scienza che si è autoproclamata neutra e perciò non condizionata dai suoi attori mentre, la coincidenza tra razionalità e dominio, dimostra invece tutta la sua natura sessuata e politica.
Sono state le epistemologie femministe, i lavori di Sandra Harding, di Donna Haraway, di Evelin Fox Keller ed altre a mostrarci questo aspetto…
Dovremmo perciò riuscire a guardare alla natura con altri occhi: con quelli di una scienza situata -che non prescinde dall’occhio di chi guarda, che non ha la presunzione di essere universale; come suggerisce Haraway, dovremmo adottare una epistemologia radicale che nega la possibilità di accesso ad un mondo reale da un solo punto di vista obiettivo e privilegiato, stabilire invece una serie di scambi provvisori mai conclusivi o eterni… di saperi situati in grado di decostruire i poteri della “ragione” e della razionalità…
E’ questione di soggetti in campo, pratiche, procedure, temi, tecniche … risultati che a noi arrivano con l’etichetta incontestabile denominata “progresso”.
Pensiamo alla sperimentazione animale, pensiamo alle tecniche ed agli obiettivi della procreatica, della manipolazione genetica e via discorrendo; pensiamo agli ogm e pensiamo al grande problema del cambiamento climatico di fronte al quale anche i negazionisti più duri si vedono surclassati dai fenomeni che intendono negare.
Questa scienza si è fatta beffe dell’ecologia; non ha ragionato per interconnessioni ma per separazioni; e allora, sì, è indispensabile pre-mettere una dimensione eco-logica
Siamo nei giorni intorno al 25 novembre e per l’occasione Marina Terragni ha scritto un post (3) richiamando la dichiarazione approvata un anno prima dall’IWECI (International Women’s Earth and Climate Summit), post nel quale sostiene l’idea che la violenza compiuta sulle donne è la stessa perpetrata contro la terra.
Con piacere vediamo la presa di coscienza e l’impegno intorno al cambiamento climatico, eppure… eppure: anche questo è un terreno molto scivoloso.
Non si può uscire dalle dicotomie oppositive create dall’ordine gerarchico sul quale si è costruito il dominio: una fra tutte: natura/cultura (categorie nelle quali viene ascritto l’essere femminile e quello maschile; in senso negativo il primo e positivo il secondo) e semplicemente rovesciare la prospettiva.
Per quanto siano storicamente determinati ed accertati i danni (la violenza) perpetrati all’ambiente ed altrettanto le violenze subite dalle donne non troviamo appropriato mantenerle sullo stesso piano ricreando, se pur attraverso la metafora e l’intento riparatorio, un unico indifferenziato che nella sua prospettiva più radicale arriva dritto all’ecologia profonda.
Natura è natura; donna è donna; e donna non è natura, perlomeno non più di quanto lo sia anche l’uomo da un punto di vista biologico.
Il prefisso “eco” perciò, almeno per quanto ci riguarda ci riconduce a quella citazione da Muriel Rukeyser: “The Univers is made of stories, not of atoms” (4) ; che ci suggerisce la presenza della storia…. di una freccia temporale, un’evoluzione all’opera, una rete di interdipendenze, una autocoscienza situata che ci permette di osservarle e parlarne.
La gerarchia fatta di dicotomie e giudizi di valore per dare legittimità alla prevaricazione ed al dominio che vi si è sovrapposto come unica via di “progresso” possibile, continua ancora ad agire con i modi che purtroppo conosciamo (e subiamo) nella realtà, dal capitalismo globale, dello sfruttamento, della negazione dell’autodeterminazione di soggetti e di popoli ecc. ecc. …
e allora… c’è sì un femminismo necessario ed una necessità di coniugarlo ognun* nella propria dimensione, così come, per noi, è importante la necessità di evolverlo e sostanziarlo con ciò cui abbiamo accennato, qui sopra.
‘Eco’ è anche parola; maschile e femminile allo stesso tempo; è la riflessione delle onde sonore che tornano indietro a chi le ha emesse…. ecco…è lo specchio di ciò che facciamo.
Un semplice prefisso per un diverso progresso.

Dumbles-feminis furlanis libertaris Novembre 2014
dumbles@inventati.org
NOTE
(1) Video: https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=5A9aqxkCr_E

(2) Scienza potere coscienza del limite – Dopo Cernobyl oltre l’estraneità AAVV 1986, Editori Riuniti

(3) http://www.zeroviolenza.it/component/k2/item/68103-25-novembre-la-stessa-violenza-sulle-donne-e-sulla-terra

(4) Muriel Rukeyser The Speed of Darkness (1968)

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