Antenata

Da una di noi, …in condivisione

Ho incontrato Gina Pane attraverso l’incontro con Anne Marchand, sua compagna di vita.

Era la fine dell’estate del 1995 e, rispondendo ad una mia lettera, la signora Marchand accettava di vedermi nella sua casa di Parigi, per regalarmi qualche racconto della vita e dell’arte di Gina Pane.

Il mio progetto era scrivere una tesi di laurea su questa esponente della body art che mi aveva folgorato con le sue azioni, con le sue performance estreme e delicate nello stesso tempo.

Gina si tagliava quietamente e senza mai dire “IO”.

Ricordo l’enfasi di Anne Marchand nel sottolineare la connessione arte/vita nell’opera di Gina Pane. Gina viveva nelle sue performanes, la sua ricerca era potentemente esistenziale e potentemente formale.

Gina è una bionda donna, con forti membra, che protegge la terra con il proprio corpo, che sotterra raggi di sole, che progetta silenzi, che scrive lettere a sconosciut*, che compie scalate non anestetizzate, che esplora ed esplora e si incammina sui tortuosi sentieri che tengono vicine la vita e la morte.

Al tempo della mia visita Gina era morta da 5 anni ma la sua presenza nella casa era palpabile.
Su una parete spiccava il Martirio di San Sebastiano, feltro rosso, vetro, ferro, piombo, rame e blessure (una delle sue ferite degli anni ’70 fotografata e trasformata in segno grafico, sublimata e divenuta un emblema), lo stesso San Sebastiano che rivisto al Mart di Rovereto mi fa battere il cuore.
L’interesse di Gina per i corpi dei martiri, corpi senza organi, irriducibili al dominio, non frazionabili eppure mai riconducibili all’uno, corpi in divenire, corpi inviolabili. E nel suo corpo la ferita che si materializza come una soglia, come un luogo di passaggio, di dialogo tra un dentro e un fuori, tra un sé e un altro da sé (il sesso delle donne che si tocca e si ritocca all’infinito, confondendo i margini, questo sesso che non è un sesso, mai uno in nessun luogo, dice Luce Irigaray).

Quella del 1995 era un’estate densa di dolore, era un’estate di lutti personali e politici, era l’estate di Srebrenica, ero pronta e forse anche desiderosa di  lasciarmi permeare da un travolgente senso di morte e invece il mio nichilismo incontrò il palmo di una mano aperta, questa presenza vitale di una donna pur biologicamente morta.

La stessa sensazione di presenza e di vita che ho provato in questa fine giugno 2012 a Rovereto al Mart.
Anche nei sarcofaghi dell’ultimo periodo Gina è presente e sembra riposare. La silhouette appena percepibile che emerge dalla superficie metallica, è il corpo di Gina che respira.
Gina è altrove, in compagnia dei morti, dei non-nati, degli assenti, eppure è lì in tutta la sua intimità.

In seguito ho abbandonato l’idea della tesi e nemmeno mi sono laureata e non mi sono pentita di non aver portato a compimento questo percorso e di aver fatto deviare i miei studi in direzione della notte e del grande distruttore.
Forse solo grazie a questo ho potuto andare a visitare la mostra al Mart come si va a rendere omaggio ad una antenata, un’antica parente che con la sua testimonianza ti ha aiutata a sopravvivere e a diventare ciò che sei.

* Il riferimento è alla mostra  Gina Pane (1939-1990)  “E’ per amore vostro:l’altro” allestita al Mart di Rovereto dal 17 marzo all’8 luglio 2012.

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