Il nostro 8 marzo
Il drèt par ledrôs, il denant par daûr, o ancje … cùl cûl par sù
Il nostro 8 marzo
Intanto la traduzione del titolo: il dritto per il rovescio, il davanti per dietro, o anche … sottosopra.
Per noi è una buona sintesi della realtà odierna fatta di rovesciamenti di senso, doppiezze morali e conclamate contraddizioni.
La fotografia è presto fatta.
Non la prendiamo dai tempi di Romolo e Remo, anzi Remolo, per arrivare a Silviolo; partiamo subito da questo, il quale con parole e opere ha offeso le donne, sicchè queste hanno deciso di andare in piazza a rivendicare la loro dignità. Giusto.
In piazza il 13 febbraio erano veramente tante. Tante le sciarpe bianche delle donne per il decoro … contro “quell’inquinamento della convivenza sociale e dell’immagine in cui dovrebbe rispecchiarsi la coscienza civile, etica e religiosa della nazione…”.
E tante le donne con gli ombrelli rossi, viceversa “indecorose e libere” che da sempre denunciano la sporca coscienza civile etica e religiosa di una nazione sessista.
Tutte assieme, tanto la misura era colma.
Senonchè “se non allora quando?” doveva tornare Ferrara, il laico devoto, ora in veste di devoto lascivo o puritano redento a sventolare mutande e a dare dei puritani ai contestatori del sciur parun? Perfino il pio Casini lo ha apostrofato: «Siamo passati dalle manifestazioni per la vita a quelle che hanno nelle mutande il loro simbolo”.
E se non ora, in uno dei suoi momenti più bassi, quando? il Silvio irredento può andare da Bagnasco con il pacchetto completo: scuola, famiglia, fine vita…
Silvio l’immorale che promette leggi moralissime sulle vite degli/delle altri/e
E se non ora quando? Il PD potrà usare l’indignazione delle donne scese in piazza per scardinare un potere che non è mai riuscito, perché non ha mai voluto, disarcionare?
E, quando?, se non ora, fare propria tutta la retorica patriottica dell’unità e della bandiera, retaggio fascista, da estrema destra ampiamente manifestato negli scudetti tricolori sulle maniche dei naziskin, ora sulle coccarde delle giacche degli illuminati di sinistra? Bravi!
E dopo il Benigni a cavallo in tricolore a sillabare “Fratelli d’Italia…” ecco il riverbero dell’onore nazionale nel secondo appello alle donne italiane del comitato senonoraquando-13 febbraio che vuole collegare la giornata dell’8 marzo al 17 marzo che è la festa del 150esimo dell’Unità…
Qui il scivolone è totale.
Dalle nostre parti l’ostensione della bandiera è sempre stato il mezzo dei fascisti per marcare il territorio p. es in funzione antislava contro le minoranze presenti in Friuli; non parliamo poi di tutta la tiritera sull’italianità di Trieste, del revisionismo storico collegato ecc. … ; comunque, al di là delle vicende storiche; se l’8 marzo rappresenta una giornata nella quale le donne rivendicano la loro autodeterminazione, come potremmo sottoscrivere un appello che ci colloca in un contesto (l’Italia) che ha sistematicamente cancellato l’autodeterminazione delle minoranze e delle diversità che lo compongono?
Tamar Pitch, qualche giorno fa (26.02.11) sul Manifesto ha messo i puntini sulle i individuando che cosa è Stato e che cosa è Nazione e dicendo, giustamente che “Il corpo delle donne non è della Nazione”.
Vero, verissimo, ma non è così semplice.
Intanto lo Stato (e il diritto moderno), nell’essere, come dice lei, strumento di emancipazione, ha un limite invalicabile che, imponendo confini artificiali su un territorio, frammentando le comunità ed imponendo, per dirne una, una fittizia unità linguistica, lo rende primo strumento di oppressione; per tutti, uomini e donne. Perciò le rivendicazioni nazionalitarie, da questo punto di vista sono più che legittime. Per quanto ci riguarda abbiamo sempre detto, prima della schifosa deriva leghista: “Friûl libàr” (Friuli libero).
E poi c’è la Nazione, che Pitch dice essere sempre stato un ostacolo per le donne e per la nostra libertà.
Allora, se con lei definiamo Nazione come quel “ prodotto organico di relazioni tra soggetti incarnati e storicamente determinati, relazioni basate sulla comunità di lingua, di storia, di tradizione: e di ‘sangue‘”; se la Nazione è costituita da corpi, ai quali, (in particolare quelli delle donne), “viene attribuita una funzione“…; poniamo il caso che la massa delle donne si sottragga a quest’ultimo imperativo e alla funzione loro attribuita; poniamo che dei concetti di stirpe e sangue gliene freghi niente; cessano di essere per questo soggetti incarnati e storicamente determinati? Cessano di essere una comunità linguistica? Per sottrarsi alla Nazione ostacolo di libertà, dovrebbero gettare il sapere delle loro madri perché p. es. soffocato nella tradizione escludente delle porcherie catto-leghiste? E soprattutto si devono disintegrare ontologicamente per reintegrarsi in che cosa? In una appartenenza a un’entità universale di donne libere e indifferenziate? In tutti i luoghi e in nessun luogo?
Noi abitiamo un posto e amiamo le nostre magnifiche diversità.
Si nasce in qualche modo e da qualche parte, e si parla, per dirla con la filosofa Rosi Braidotti, dal proprio luogo di enunciazione.
La lingua per esempio; quella che parliamo è la rappresentazione ed il significato del mondo al quale siamo venute, ha il sapore della nostra madre e il gusto o il disgusto del padre e dei padri che patriarcalmente dominano assegnando compiti di stirpe, sofferenza e sangue. Perciò, nella fattispecie, è il patriarcato che dobbiamo segare, non la lingua.
Nazione e dominio vanno insieme? Per noi no.
L’argomento è spinoso e complesso, ma pensiamoci, soprattutto quando andiamo a gridare Palestina libera, Euskadi libero, Kurdistan libero ecc. ecc.
E’ il dominio dell’uomo sull’uomo che crea il nazionalismo e la retorica del patriottismo, è dominio dell’uomo sulla natura l’artefice della catastrofe ecologica, è il dominio dell’uomo sulla donna, quello che conosciamo bene e non ci dilunghiamo.
Sopra tutto questo, mettiamoci poi lo Stato con i suoi artificiosi meccanismi di rappresentanza e delega fatti apposta per cancellare il diritto all’autodeterminazione dei popoli…
In Italia poi! Siamo a corto di aggettivi per descrivere il senso del disgusto.
Sicchè questo 8 marzo cù cù che noi mettiamo al mondo l’Italia, figuriamoci!… noi mettiamo al mondo noi stesse, soggetti incarnatissimi con solide radici anticlericali, in un terreno dove non vogliamo piantato alcun lager-cie perché amiamo tutte le nostre varietà sorelle, soggetti incarnati e in fuga dal brutale dominio della politica e della miseria.
Ecco con cosa colleghiamo il nostro 8 marzo, [altrochè 150esimo]; con il quinto anno del cie (centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca, e non per festeggiarlo, ma con l’intimo desiderio di demolirlo, perché il paese che ha concepito i cie ha una coscienza civile, etica e, pure religiosa da fare schifo.