Ogni cosa al suo posto…

… ed un posto per ogni cosa. Già questo motto è fastidioso per chi non riesce a stare nel banale ordine domestico delle mutande nel giusto cassetto, figuriamoci quando lo stesso riquadro schematico viene utilizzato per rimettere a posto la realtà momentaneamente perturbata, messa in disordine, da un evento drammatico.
Parliamo ovviamente della Costa Concordia, una tragedia all’italiana, verrebbe da dire, se volessimo anche noi farci prendere dalla smania della catalogazione degli eventi.
In realtà i cassetti dell’arredamento socioculturale non attendono eventi, attendono persone cui affidare il ruolo di nuclei di rappresentanza della morale nazionale: il buono, il cattivo, la donna.
Ritratti costruiti subito in un concatenarsi di identità che se non c’erano, bisognava inventarle.
Intanto il buono, il coraggioso, l’eroe, ma soprattutto l’uomo con le carte in regola: padre e marito esemplare;  Repubblica ci tiene a sottolinearlo, ancor prima di descriverne l’operato: moglie e figlie sono il suo mondo.
“Da grande voglio essere De Falco” dice un tale (sempre Repubblica), quello che ordina, quello che dice “adesso comando io”… la voce del comando che tanto è piaciuta al punto da essere riverberata da una massa di automi belanti nelle inquietanti, più che divertenti, t scirt.
Da  prendersi veramente male quando dalla maglietta alla corteccia, l’ammirazione si trasfigura nella richiesta di autorità  (incarnata guardaunpò in una divisa), di uomo forte, di uno che mette le cose a posto, leader, guida, dux… All’italiana, insomma.
Come italianissima è la figura del cattivo meglio definito nel concatenarsi dagli eventi come il codardo.
Qui si è visto un distillato di ipocrisia purissima. L’affondamento mediatico di un modello, quello del maschio farfallone, sbruffone, piacione, che fino ad un momento prima piace; piace  al popolo delle crociere come a quello televisivo; quel maschio che popola una realtà quotidiana deprimente e kitsch, dalle nostre parti lo chiamiamo coiar; quello che nessuno in tempi ordinari si sognerebbe di demolire, anzi, il disgraziato è l’incarnazione di uno stile  permesso, ricercato, stimolato, perfino applaudito e se, nella fattispecie dell’azione incriminata origine del dramma,  l’inchino era usanza a conoscenza e con compiacenza delle compagnie e delle capitanerie, è già detto tutto.
E poi c’è la donna. Poteva forse mancare la chiave di volta, quella che rende il cattivo un po’ meno cattivo perché offre all’interpretazione un’alibi alla sua distrazione? E’ ancora Eva che induce l’uomo al peccato. Perciò eccoli pronti i ricami a punto in croce per «La ragazza senza cabina»,  “La donna biondo platino sulla plancia”. “La ballerina moldava che ha fatto girar la testa a Capitan Codardo”. L’ultimo titolo è di Libero il quale ovviamente non poteva rinuniare alla sua mission: la colpa etnica. La costruzione ed il rinforzo dello stereotipo, la relazione biunivoca fra provenienza e colpa. Lo osservava bene l’altro giorno Dino Amenduni sul Fatto quotidiano:  “se ricordiamo al lettore che quando c’è un furto è stato commesso da un rumeno, che quando c’è un atto di violenza è stata colpa di un maghrebino, che quando c’è una “donna misteriosa” (e non una dipendente della compagnia) a bordo è moldava, mentre non abbiamo lo stesso tipo di zelo nello specificare l’origine (italiana o occidentale) di altri esseri umani che commettono lo stesso tipo di azioni, alla lunga autorizziamo gli italiani a pensare che solo uno straniero, un determinato tipo di straniero, compie un determinato tipo di azione“.
Così nel lavoro di sistemazione delle figurine giornali e telegiornali ci hanno marciato una settimana, vendendo qualcosa in più e risistemando anche il nostro ordine sociale e morale.
Perché nel costume italico è così; nemmeno le tragedie sono trattate con correttezza, bisogna rimescolare carte e colpe e talvolta o spesso, nascondere le mancanze e gli errori.
Per esempio quasi nessuno ha ricordato che il 14 gennaio c’era stata a Venezia la manifestazione contro il passaggio in laguna delle navi da crociera:  “Big ship …. you kill me” stava scritto su uno striscione; ma lo spirito dell’ “oscena movida galleggiante” come la chiama Sergio Bologna è quello di far avvicinare questi mostri pericolosamente alle coste più belle, alle acque protette dei pochi e non presidiati parchi marini.
Qualcosa si farà, forse sì, forse no, ma questo è già un altro ordine di problemi e riguarderà la politica e gli interessi delle compagnie di navigazione.
La nave affonderà, forse sì, forse no, ma di sicuro poco o tanto, inquinerà; ma anche questo è un altro ordine di problemi. E alla lunga, a chi interessa?
Gli spettatori del dramma, quelli che non ne sono stati toccati direttamente, sono stati serviti; anche se con un po’ di dispiacere per il De Falco eroe che ha rifiutato le numerose richieste di comparsate televisive; appagati comunque da quella di Domnica, la moldava, che dallo schermo di un’altra TV profferiva la sua verità. Credibile o meno, in ogni caso lei è già stata utile a far ordine e a dar senso agli eventi. Anche lei è stata messa nel posto che le spettava nella costruzione della casa morale degli italiani.
Unico particolare in questo mare di certezze stereotipate, lo studio della TV moldava che ha intervistato Domnica, aveva arredato lo sfondo con la riproduzione di un disegno di   Maurits Cornelius Escher; il titolo: relativity.

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