Boicottiamo, che è un piacere!
Solidarietà alle lavoratrici Omsa!
Ci associamo al giorno lanciato in rete per il supporto alle lavoratrici ed il boicottaggio all’azienda da loro chiesto a suo tempo – Campagna Boicotta Omsa.
Loro ci hanno spiegato la situazione: delocalizzazione non per crisi ma per profitto.
Praticamente quello che sta accadendo da almeno vent’anni: le aziende vanno ad investire e ad esportare la produzione nei paesi dove si offre manodopera a basso costo, senza tutele sindacali e senza tensioni sociali.
Questo farà anche Omsa, è spiegato bene nell’intervista che avevamo linkato qui.
Perciò la azienda che nei suoi spot per vendere calze, tratta le donne da bambolotte sessuali (p. es. questo) -e sarebbe stata da boicottare già per quello!; nella realtà lavorativa le tratta da usa e getta; una lettera di licenziamento recapitata via fax sotto capodanno e via…
Ma la situazione non è solo così triste, è anche peggio, perché contemporaneamente allo sfruttamento delocalizzato è andata avanti una strategia di sfruttamento localizzato in modo da parificare al ribasso tutto l’universo lavorativo riportando quello nazionale indietro di anni, a tempi pre-sindacali di modo che i padroni non debbano nemmeno fare più la fatica di andare all’estero.
La Fiat di Marchionne con la generale e progressiva calata di brache del sindacato, è il rappresentante massimo di questa strategia.
Accadde anche qua, due anni fa alla Sàfilo, quelli degli occhiali gran moda; in un paese della bassa friulana (Precenicco) l’azienda lasciò a casa circa 300 dipendenti, 90% donne, mentre apriva in Cina uno stabilimento per 3000 dipendenti; e, mentre i rimanenti, in Friuli, erano in cassa integrazione assumeva interinali in Veneto… perché le forme del lavoro messe a punto in nome della flessibilità, già dai tempi della Legge 30, hanno permesso la creazione di una condizione permanentemente precaria con sottocategorie di lavoratori e lavoratrici con gli/le immigrati/e quale ultimo anello nella catena di sfruttamento che ormai trascolora nella schiavitù.
Insomma sono cose che ormai conosciamo, e molte donne le conoscono anche sulla propria pelle.
C’è via d’uscita? La solidarietà intanto, poi la denuncia ed il boicottaggio. Le buttìno, le loro calze di nylon; inutile farci sopra i ricami se le donne che le indossano sono presentate come oggetti e le donne che le fabbricano come oggetti sono buttate perché il mercato della carne umana offre altre lavoratrici più a buon mercato.
Ed è anche in nome di queste e del loro diritto al lavoro che va fatto fronte comune ed il lavoro va ripensato per esempio nel che cosa produciamo, come, con quanta e quale energia, dove andiamo a produrre, come trasportiamo, perché? Ci è utile quello che facciamo? Ed rifiuti che rimangono, come li trattiamo… alla fine ed alla lunga è questa la vera via di uscita dallo sfruttamento del capitale e dalla crisi che è pur sempre crisi del capitale e della finanza.
Solidarietà, resistenza e lotta, ci vengono bene anche senza calze!