Non ce la fanno, non ce la fanno, non ce la fanno…

…proprio non ce la fanno, i giornalisti, a buttare giù una cronaca che parta con il piede giusto.
Ieri a Udine è successo che una donna, in strada,  viene ripetutamente accoltellata dall’ex convivente al quale aveva detto no, lo aveva lasciato tempo fa, e non voleva avere più niente a che fare con lui.
Esordisce il giornalista: “Si è sentito tradito, respinto e anche preso in giro. E così, ieri, di fronte all’ennesimo rifiuto della sua ex compagna, ha perso la testa colpendola con diverse coltellate al torace di fronte agli occhi attoniti dei passanti che stavano transitando nei pressi ecc. ecc.”.
Nella cronaca c’è il fatto e la sua narrazione, ed è in quest’ultima che si racchiude la morale della storia.
Perché ce la prendiamo tanto con la stampa? Perché se la finisse di configurare la notizia sempre dalla parte dell’aggressore o spesso, femminicida, se ne avrebbe altra prospettiva e se ne trarrebbe ben altra sintesi.
Per l’ennesima volta si inizia con la fornitura di una qualche giustificazione al maschio (nel quale altri si riconoscereanno) : “tradito, respinto e preso in giro“, e si arriva dove si arriva sempre in questi casi: ad uno stereotipato:  “ha perso la testa“, insomma, all’implicito raptus per gelosia, che si sa, è una brutta cosa che talvolta fa trascendere, soprattutto quando uno si trova di fronte “…all‘ennesimo rifiuto della sua ex compagna…(perché attenzione, messa così, è lei che fa traboccare il vaso!),  come dice l’avvocata che difenderà l’aggressore: “… forse la reazione è stata eccessiva rispetto a quanto accaduto…”.  La linea è sempre quella e in due pagine di giornale, fra la ricostruzione dell’accaduto, la nota dell’avvocato difensore, le narrazioni dei testimoni e dei vicini di casa dell’indagato (“…operaio di poche parole ma educato”), nulla che segnali, riconosca, affermi il diritto di una donna di rifiutare un uomo, nulla che sottolinei come i ripetuti rifiuti di lei sono un’aggravante per lui piuttosto che una giustificazione, nulla che stimoli nell’uomo che legge una riflessione a come guardare ad una donna che dice “No”. No, perché quello ha perso la testa; noi no, -noi-, noi no.
Delle volte sembra che i giornalisti passino il tempo a fare tutto meno che a leggere i giornali.
Non passa giorno senza che una donna venga molestata, o violentata e una ogni due giorni viene  uccisa e nella maggior parte dei casi, perché dice NO ad un uomo.
Ma questi giornalisti non se ne accorgono, non sanno fare uno più uno, non sanno collegare i fatti, non sanno mettere sulla carta quello che la realtà suggerisce già da sola: molti uomini hanno un problema e non da poco; violentano o uccidono le donne perché non sopportano un loro rifiuto. Perché fanno così?  Perchè? Incominciassero a fare cronaca rilanciando questo interrogativo invece che fornire la sterile e giustificatoria risposta del raptus e della crisi di gelosia, sarebbe sempre ora. Un primo passo per indurre chi legge ad interrogarsi su un “fenomeno allarmante”, per stimolare una diversa sensibilità sociale, per invertire una polarità che mette sempre la donna, anche da vittima, sul banco degli imputati, alla lunga,  per interrompere questa innominata catena di massacri.
Insopportabile la cronaca che trascolora nell’indifferenza, nell’omertà, nella complicità con una consequenzialità quasi obbligata: quella che induce a dire fin dall’inizio, di lui, che si è sentito tradito, respinto e preso in giro e, solo dopo due pagine, alla fine di tutto si ricorda di scrivere che lei lo aveva già denunciato a dicembre per minacce e dieci giorni fa, per lo stesso motivo, aveva chiamato la polizia.

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