Piccola autocoscienza giornalistica
Scrive oggi Michele Serra: “Fa male sentire che qualche tiggì chiama ancora “delitto passionale” mattanze come quelle di Brescia, dove un maschio reso feroce dalla sua demenza o reso demente dalla sua ferocia, uccide una donna che considera “sua” e non lo vuole più…. Perchè gratificare di “passione” questo nazismo maschile che ogni anno produce, solo qui in Italia, un vero e proprio olocausto di femmine soppresse solo perchè non vogliono più appartenere (come bestie, o come cose) a un padrone, e per giunta un padrone violento? “O mia o di nessuno” dice il boia di turno, ed è la perfetta sintesi di una cultura arcaica e mostruosa che -esattamente come il movente razziale- dovrebbe costituire un’aggravante, in un paese civile. Mentre l’aggettivo “passionale” rimanda, purtroppo, a una sorte di attenuante, quasi di “spiegazione”; e fino a una generazione fa, qui in Italia, era di fatto un’attenuante giuridica. Levato dai codici quell’infame eufemismo che erano le “ragioni di onore”, rendiamo onesto, veridico anche il linguaggio giornalistico. Passione e amore non c’entrano, c’entrano il potere, il terrore di perderlo, l’odio per la libertà”
Peccato che Michele Serra usi per questa illuminazione, la rubrica che tiene su Repubblica: “L’amaca” , spazio piccino piccino, in genere dedicato a commenti satirici. E peccato che il linguaggio giornalistico intorno, su Repubblica e oltre, resti tutt’altro che onesto e veridico.