La libertà di deprimersi
Leggendo della tragedia di oggi, dell’uomo di Brescia che scaraventa giù dalla finestra la figlia e il figlio, ci tenta con la moglie, non ci riesce e poi butta sé stesso; leggendo nella cronaca che riporta Bollettino di guerra, comparando un po’ tutti i quotidiani citati; leggendo in tutti la strutturazione della notizia secondo il solito alibi-clichè che individua il gesto folle dell’uomo nella sua depressione per aver perso il lavoro… ci è venuto in mente l’articolo di qualche giorno fa di Angela Azzaro che aveva come titolo “Meglio uccidersi che farsi uccidere”.
Sintetizzando brutalmente, il succo è che le donne assumendo su loro stesse il senso di responsabilità verso la famiglia, non sono nemmeno libere di lasciarsi andare alla depressione ed anche di scegliere quell’estremo gesto “liberatorio” che è il suicidio.
Scrive Azzaro: “.. Essere madri, essere figlie, essere zie o nonne prima che se stesse vuol dire anche questo: non poter togliersi la vita. Non poter compiere un atto così estremo, così personale. Vuol dire anche sopportare la violenza del partner fino allo stremo, fino all’atto finale…”
In realtà nulla che non sapessimo già, ma che, comparato ai recenti suicidi di uomini per ragioni puramente economiche, ci ricorda quanto i legami famigliari “legano” più l’una che l’altro; fagocitano e cancellano lei e rendono libero proprietario lui che può deprimersi quanto vuole, libero di disperarsi fino al suicidio e anche di portare con sé, come nel caso di Brescia, ciò che ritiene “suo”.
Conclude Azzaro, collocando il suo discorso tra i modelli “Thelma e Louise” e “Kill Bill“, dicendo che bisogna essere di più noi stesse, bisogna ribellarsi… perché “l’importante è non subire più”.
Già…, ottima conclusione, che noi ci permettiamo di collocare anche nella ribellione a quella matrice fascista ed ai suoi sostenitori da terzo millennio che ci vorrebbe indissolubilmente ed eternamente legate ai ruoli di cui sopra, ma a cui sappiamo, Azzaro si è tanto preoccupata di dare voce. Ma quella è una contraddizione tutta sua.