Dice Rosi

«Penso che i posti di frontiera all’interno dell’Europa necessitino di un’analisi molto piú dettagliata. Lavoriamo ancora molto poco su questa categoria. La frontiera del Friuli Venezia Giulia è, a esempio, una fra le piú drammatiche, essendo stata teatro di ben due conflitti mondiali. Qui credo vi sia una ferita ancora aperta che rende molto piú doloroso pensare alle nostre differenze interne. Pensiamo alle lingue: il fascismo le ha annullate, ha proibito la lingua slovena, ha voluto cancellare quella friulana. Soltanto Pasolini, tra gli intellettuali, andò in controtendenza. Ora bisognerebbe riaprire in questa fase una riflessione pacata sul fatto che noi siamo i soggetti nomadi per eccellenza, che qui in questa frontiera la mistità è nel dna. Non c’è mai stato un momento in cui qui siamo stati di radice etnica pura, grazie al cielo. Non significa che siamo ibridi, ma che anzi siamo una cultura molto forte. Ne farei una ragione in piú per aprirci e fare spazio al mondo. Il soggetto nomade non è un soggetto privo di senso di appartenenza, anzi si sente appartenente a piú culture. Lo dice bene Virginia Woolf: “Io sono fissa però mi muovo”. Appartenenza è un miscuglio di registri affettivi, teorici, immaginari, molto profondi che ci permette di dire: questo è il territorio dove siamo nati e del quale ci sentiamo responsabili».

Da una intervista a Rosi Braidotti,  che trovate qui.

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