Buon compleanno Manzìn!
Gelindo Citossi nato a S.Giorgio di Nogaro il 7 ottobre 1913, contadino; nome di battaglia Romano il Manzìn, partigiano.
Avrebbe cento anni “Romano il Mancino”; nel clima generale e particolare della storia negata, rinnegata e rivisitata, noi invece ricordiamo quelli e quelle come lui; ad ogni anno che passa, più importanti, più indispensabili, più compagni/e di viaggio.
Lunedì 7 ottobre commemorazione di Romano il Manzìn, con la presentazione del libro “Romano il Mancino e i Diavoli Rossi” di Pierluigi Visintin curato da Alessandra Kersevan – ed. Kappavù
h. 20,30 Villa Dora S.Giorgio di Nogaro (UD)
Alcuni brani tratti dal libro. Buona lettura
Il 10 novembre 1944 il generale Alexander (degli forze militari anglo-americane) aveva lanciato il suo famoso proclama, nel quale diceva ai partigiani.”Patrioti, la campagna estiva è finita. Ha inizio la campagna invernale. Il sopravvenire della pioggia e del fango inevitabilmente significa un rallentamento del ritmo della battaglia”. Le istruzioni erano di cessare le operazioni su vasta scala, di conservare le munizioni e di tenersi pronti per nuovi ordini, di ascoltare il programma Italia combatte. Questo proclama fu visto dai partigiani come un tradimento. Il proclama radio infatti annunziava non solo ai partigiani ma anche al nemico l’intenzione di rinviare ogni azione offensiva a primavera e di lasciarlo indisturbato al fronte. In più il proclama giungeva nel pieno della controffensiva tedesca. Il proclama Alexander non solo dava mano libera ai tedeschi verso la Resistenza italiana, ma suscitava all’interno di questa i più gravi dubbi sulle prospettive future, sulla stessa utilità di continuare il combattimento.
Infatti, dopo l’infausto proclama, soltanto piccoli gruppi di gappisti erano rimasti attivi nella Bassa, in modo particolare i DIAVOLI ROSSI di ROMANO. Il reparto si era ingrossato ed era armato benissimo. I rapporti con l’Osoppo non erano idilliaci. Così scrive l’osovano Ermes Zaina RIZZO in un memoriale intitolato “Storia del movimento partigiano a Porpetto”:”Eravamo circa agli ultimi di novembre del 1944 e ricevemmo l’ordine di sospendere ogni attività; avvenne allora che nella nostra zona prese posizione la squadra di ROMANO che lasciò trapelare una cordiale antipatia per il movimento democratico dell’Osoppo”. Naturalmente gli Osovani avevano obbedito compatti al proclama di Alexander, anche se ce n’erano alcuni, come Giuseppe Amato DIK di San Giorgio che, pur di agire, erano passati con i Garibaldini….
L’azione alle carceri di Udine
…Il comando del gruppo d’azione, formato dai DIAVOLI ROSSI e da alcuni russi del battaglione “Ciapaiev” era stato dato a ROMANO che conosceva bene gli uomini e a VALERIO (Aldo Plaino di Udine, commissario politico della Brigata GAP “13 martiri di Feletto Umberto”) che conosceva bene la topografia della prigione. FERRUCCIO (Valerio Sella di Torreano di Martignacco), oltre a partecipare di persona all’azione, si era assunto il compito di isolare telefonicamente il complesso carcerario.
Cella d’isolamento n.6. E’ la sera del 7 febbraio 1945. Alle carceri di Udine, in via Spalato, nella cella n.6 al piano tera, cella d’isolamento senza pagliericci né coperte, TIGRE, classe 1914, pugliese, recita a voce alta l’atto di dolore. Assieme a Tigre ci sono PREMOLI di Palazzolo dello Stella classe 1923, FULMINE di San Giorgio al Tagliamento classe 1924 e RASIN di Porpetto classe 1925. E’ stato proprio quest’ultimo, arrestato dai nazifascisti a metà dicembre e brutalmente torturato alla Caserma Piave, a rivelare il nascondiglio degli altri due, facendoli catturare. Ma questo fa parte del passato: i quattro sanno che sono stati condannati a morte e che tra un paio di giorni verranno impiccati.
Sono circa le diciannove, quando si sente gridare :”Dove essere MARTELLO? Dove essere MARTELLO?”,poi una raffica di mitra. “Qua sono i tedeschi che sgombrano Udine e prima ci ammazzano”, pensa MARTELLO, ma invece è la legione straniera del MANZIN: Michail l’azerbaigiano detto MOSCA, tiratore scelto, il caucasico PIOTTO e il rumeno FRITZ. MARTELLO fa appena in tempo a tirarsi da parte che una scarica di mitra fa saltare la serratura, nella fretta scappa senza scarpe. Questa la sua versione:”Quando hanno scardinato la porta mi sono appoggiato al muro: adesso arriva la raffica! Invece erano i russi, quelli di Gonars. Non stavo in piedi, tra i 15 giorni di botte e l’emozione…”.
Nella cella d’isolamento n.6 TIGRE sta ancora recitando l’atto di dolore, quand’ecco che si sente la ben nota voce di ROMANO il MANZIN:”Siamo i DIAVOLI ROSSI, diosbefeot! Siamo venuti a liberarvi!
Strappati i fili del telefono e impedita ogni comunicazione, tutto dovrebbe avvenire velocemente e in silenzio. Infatti l’ordine è di non fare fuoco, ma una guardia cerca di opporsi ad ARAMIS sparandogli un colpo di pistola e allora MOSCA, che fa coppia con ARAMIS, è costretto a freddare la guardia con una raffica di mitra. Una seconda guardia si ribella e viene uccisa. I secondini che collaborano con la Resistenza, spaventati dalla sparatoria se la danno a gambe, così i DIAVOLI ROSSI devono arrangiarsi ad aprire le celle da soli. Le guardie di servizio sul muro di cinta cominciano a sparare contro i gappisti: a sistemarle ci pensano i russi.
Per vari motivi parecchi prigionieri non riescono a scappare, come ad esempio Paolo Spezzotti e Federico De Paoli di Cussignacco. Per paura o perchè non se ne rendono conto, non scappano alcuni dei partigiani che verranno fucilati per rappresaglia l’11 febbraio. Non scappano le donne trattenute dalle suore. Non scappano i tre preti, che scelgono di rimanere accanto ai prigionieri che non sono riusciti a fuggire. Verranno inviati a Dachau il 24 febbraio (tra i preti ricordiamo Erino D’Agostini UNIO che i partigiani chiamavano anche “compagno Fossa” per il suo compito di benedire i morti).
IL CANE DEL MAGGIORE INGLESE
Romano racconta i fatti successivi alla Liberazione in due pagine del suo diario. E’ il 15 maggio 1945.
“Ormai la guerra era finita e i partigiani, ancora armati, erano sparpagliati in tutte le caserme del Friuli. La mia brigata era di stanza a Palmanova. Una mattina ci viene dato ordine di mettere al sicuro i fascisti che si erano macchiati di crimini e sevizie, per processarli e metterli a confronto con i perseguitati politici. A me venne dato l’incarico di andare a Porpetto per arrestare un certo “Gabule”. Entrando nel paese, di fronte al palazzo della contessa, sulla curva, vedemmo due inglesi con un cane lupo, circondati di bambini di non più di dieci anni. I due inglesi si divertivano a prendere in giro quei poveretti: facevano finta di dar loro i biscotti, ma quando i bambini allungavano le mani, li davano al cane. Nel vedere questo mi vennero le lacrime agli occhi, presi la pistola che tenevo con me e con un colpo secco freddai il cane inglese, proseguendo il cammino.
Devo ringraziare la signora Elvira Fragagnolo che mise gli inglesi sulle mie tracce, così a fine mese fui arrestato e portato in prigione a Udine”.
“Giornalmente aumentavano gli arresti di partigiani da parte degli inglesi. Ci siamo organizzati e abbiamo deciso di tentare la fuga. Tramite un compagno che avevo liberato dal carcere durante la Resistenza ricevetti un seghetto, ma non riuscimmo ad arrivare in tempo alla cinta, dove c’era una guardia amica che montava in servizio dalle 20 alle 22. Due giorni dopo io e altri cinque, considerati gli organizzatori della fuga, venimmo trasferiti al carcere della Giudecca a Venezia….
il 28 agosto, alle 15 con la scusa di consegnare i tegami vuoti dal pranzo che ci aveva mandato il partito comunista della Giudecca, io e altri tre bloccammo le guardie chiudendole in una cella. Uscimmo e un giovane si offrì di trasportarci con la sua barca oltre il canale. Poco dopo una guardia, che si era accorta della fuga, incominciò a sparare verso di noi così fummo costretti a tornare a riva. Dopo una zuffa nella quale disarmai due guardie carcerarie e spaccai il naso a due inglesini che volevano intromettersi, venni ripreso e portato a Santa Maria Maggiore, sempre a Venezia…dopo tre mesi fummo trasferiti nella casa di pena di Padova…in aprile fui rilasciato insieme ad altri compagni.
…La persecuzione continua: il 14 agosto 1946 ROMANO riceve un avviso dell’ufficio di collocamento, che lo invita a presentarsi a Udine per ricevere informazioni su un posto di lavoro. Si tratta di un raggiro:il giorno stesso viene arrestato dai carabinieri di Udine e trasferito a Padova con l’accusa di essere implicato nei fatti di Porzus (successi lo stesso giorno dell’assalto alle carceri, il 7 febbraio 1945). L’istruttoria per i fatti di Porzus durò tre mesi. “Fui riconosciuto innocente e messo in libertà il 23 dicembre 1946. Presi allora la via dell’esilio, andando in Jugoslavia. Questo cane inglese mi costò caro…” così termina il diario di ROMANO.
“Io subito dopo la guerra ho fatto 18 mesi di galera per aver ucciso un cane ad un maggiore inglese:questo è stato il premio di liberazione. Uscito dal carcere ho dovuto andare in esilio per non morire in carcere, per cui non ho avuto alcun bneficio, come tutti i partigiani, non ho mai chiesto aiuto a nesuno fino a oggi…”