La scimmia su misura
Una delle obiezioni quando si discute di sperimentazione animale è il dubbio su quanto possano essere affidabili i dati ricavati dal modello animale per la produzione di principi attivi ecc. da usarsi sugli/le umani/e.
A questa obiezione si può fare spallucce e continuare a stabulare e sperimentare; abbandonare il modello e darsi da fare per orientarsi altrimenti, oppure modificare il modello e renderlo più “simile” alle caratteristiche del suo fruitore.
E’ quest’ultimo l’atteggiamento adottato quando si parla di “Creare modelli animali più adatti per lo studio di malattie umane”.
La notizia è riportata da Wired ed in sintesi dice che grazie ad una tecnica relativamente nuova possono essere realizzate delle mutazioni mirate; “può essere usata per creare modelli di malattie genetiche umane, e i dati possono essere molto utili per la salute umana…” spiega Wezhi Ji, uno degli autori.
Niente di nuovo in queste dichiarazioni; niente di nuovo nemmeno negli intenti di indurre mutazioni genetiche negli “animali da esperimento” e niente di nuovo nel desiderare che siano il più possibile simili alla specie che li indaga; il nuovo sta nel successo della tecnica applicata.
Un passo avanti verso quella cupa contraddizione in cui “l’uomo” può sperimentare sull’animale in quanto diverso da sé, ma ha bisogno che sia quanto più possibile uguale a sé per poterlo indagare minimizzando il pericolo di errore.
Un macaco forse resta un macaco anche quando è modificato geneticamente ed è stato “ricostruito” su misura per le occorrenze della specie parlante e manipolatrice, sempre tanto abile a risolvere contraddizioni e problemi ricorrendo a giudizi di valore che elidono ogni riflessione e sensibilità.
Il macaco è “inferiore” diranno, e l’esperimento può andare avanti.