Orbanvirus
Il 26 febbraio il Manifesto pubblicò uno scritto di Giorgio Agamben dal titolo: “L’invenzione di un’epidemia”; in quell’articolo l’autore metteva in risalto e contestava l’adozione delle misure sproporzionate, immotivate, irrazionali adottate per contrastare il coronavirus.
Il suo pensiero prendeva le mosse dalle dichiarazioni del CNR, secondo le quali non solo non c’era un’epidemia di SARS-CoV2 in Italia, ma comunque «l’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva.
La sproporzione tra il comunicato del CNR e le misure allora adottate, sembrava evidente.
A partire da quella constatazione, Agamben sottolineava un altro aspetto, cioè il fatto che proprio l’invenzione di un’epidemia fosse la sponda offerta allo stato di paura inoculato nelle coscienze individuali in questi anni ad indurre un desiderio di sicurezza che nella fattispecie si concretizza nel maggiore controllo e limitazione delle libertà. Insomma, quale buona occasione se non un’epidemia dove tutto questo viene fatto per il nostro bene?
Per questo scritto Agamben è stato aspramente criticato; farneticante, secondo Flores d’Arcais, che dalle colonne di Micro Mega ha definito quella di Agamben: “una filosofia del cazzo” (Ce finece!)
Ricordiamo che in quei giorni di febbraio, se ne sentivano di tutti i colori, da parte di scienziati, tecnici virologi ecc. tutt* dicevano la loro e spesso un* l’incontrario dell’altr* .
Oggi, a differenza di quei giorni in cui lo stesso CNR diceva: “Non c’è un’epidemia di SARS-CoV2 in Italia”, guardiamo alla pandemia, contiamo i suscettibili, i portatori e i morti, e riconsideriamo anche il pensiero di Agamben.
Di quanto scritto riprendiamo qualche suggestione; il 17 marzo in “Chiarimenti” dice: “… “È possibile, data l’inconsistenza etica dei nostri governanti, che queste disposizioni siano dettate in chi le ha prese dalla stessa paura che esse intendono provocare, ma è difficile non pensare che la situazione che esse creano è esattamente quella che chi ci governa ha più volte cercato di realizzare: che si chiudano una buona volta le università e le scuole e si facciano lezioni solo on line, che si smetta di riunirsi e di parlare per ragioni politiche o culturali e ci si scambino soltanto messaggi digitali, che ovunque è possibile le macchine sostituiscano ogni contatto – ogni contagio – fra gli esseri umani.”
Oggi, 31 marzo è arrivato Orban da un’Ungheria che in questo momento conta meno di 500 contagi e 15 morti; avrà i pieni poteri, chiuse le camere, bloccate le elezioni, potrà governare su qualsiasi materia e senza limiti di tempo, ci saranno fino a otto anni di carcere per chi non rispetta il confinamento e cinque anni per chi diffonde notizie false sull’epidemia, infine, deciderà lui quando finirà lo stato di emergenza. –
Ecco, Orban è più sciolto, si porta avanti. Per carità, non siamo governati da Orban, ma al loro amico plaudono Salvini e Meloni…. Riecheggiando Agamben, viene veramente da dire che se l’epidemia non ci fosse, bisognerebbe inventarla.
Yuval Noah Harari che non è un filosofo ma uno storico, a proposito delle misure emergenziali di restrizione e controllo adottate in questo periodo, ci dice che quando l’emergenza sarà finita, se ne potrà fare a meno, ma le misure temporanee, hanno la brutta abitudine di sopravvivere alle emergenze, sottolinea. Lui, naturalmente fa l’esempio di Israele … “per esempio, durante il conflitto arabo-israeliano del 1948 dichiarò lo stato d’emergenza, che giustificava una serie di provvedimenti temporanei: dalla censura della stampa alla confisca delle terre e a regole specifiche per fare il pudding (…ancje chel che tu mângjs…)… Quella guerra è stata vinta da tempo, ma Israele non ha mai dichiarato la fine dell’emergenza, e non ha abolito molte delle misure “temporanee” adottate nel 1948 (salvo il decreto sul pudding abolito nel 2011) (da Internazionale n. 1351).
Israele, per esempio contro il coronavirus adotterà le misure contro il terrorismo “Un apparato elettronico per monitorare contatti e spostamenti. Emerge lo spettro Grande fratello. Netanyahu: «Sempre evitato questi mezzi ma ora non c’è scelta: il nemico è invisibile e deve essere localizzato”
[Sempre Aganben nel vituperato articolo: Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite. ]
Che siamo filmati, tracciati, profilati, identificati non è una novità, anzi. Se girate per Trieste, in molti punti lungo le vie, sono installate telecamere con sopra il cartello “Telecamera amica”; il principio del controllo per il tuo bene. Quale bene primario se non la salute, in virtù del quale ogni problema di privacy, di anonimato, di libertà passa in ultimo piano?
Il nemico è invisibile e deve essere localizzato. Ecco, il linguaggio militare di cui si fa ampio sfoggio in questi disgraziati giorni è un’altro strumento utile ad annichilire lucidità, volontà e critiche. Ne fanno una interessante analisi Annamaria Testa e Daniele Cassandro qui e qui. Tutto l’apparato linguistico bellico (il nemico, la prima linea, le armi, la trincea, il fronte, …) portano qui, a quello che diceva Susan Sontag da loro citata: “La guerra è una delle poche attività umane a cui la gente non guarda in modo realistico; ovvero valutandone i costi o i risultati. In una guerra senza quartiere, le risorse vengono spese senza alcuna prudenza. La guerra è pura emergenza, in cui nessun sacrificio sarà considerato eccessivo”.
Sulle macerie materiali e intellettuali di questa guerra a Sars-Cov 2 che rimarrà?
Ancora Agamben (27 marzo) “…Si direbbe che gli uomini non credono più a nulla – tranne che alla nuda esistenza biologica che occorre a qualunque costo salvare. Ma sulla paura di perdere la vita si può fondare solo una tirannia, solo il mostruoso Leviatano con la sua spada sguainata.
Per questo – una volta che l’emergenza, la peste, sarà dichiarata finita, se lo sarà – non credo che, almeno per chi ha conservato un minimo di lucidità, sarà possibile tornare a vivere come prima. E questa è forse oggi la cosa più disperante…”
E’ la biopolitica, bellezza!
Il potere coercitivo che si esercita sulla fragilità e la caducità dei corpi, sulla paura di perderli. Allevati a pane ed estetica dell’apparenza, nel momento cruciale, ci viene a mancare l’etica che nel sistema dell’apparire, avere, consumare, la nostra specie ha assai poco sviluppato.
Aborrita la malattia (e devastato il sistema sanitario pubblico), rimossa la morte, agognato il transumano, vagheggiato l’eternità, siamo tornati materia biologica se pur altamente organizzata che ha a che fare con altra materia biologica che ci interseca e disgrega con la sua elementare organizzazione.
E’ la natura bellezza!
Alla filosofia (anche ad Agamben) manca l’ecologia!
Perchè i virus esistono, i batteri esistono, le infezioni e le epidemie anche. Questa in corso è una di quelle che si è allargata tanto ed in velocità perchè viaggia con noi. Di Spillover ce ne saranno sempre più. Anche questi salti di specie, in un certo senso, vengono titillati, forzati, indotti dal potere coercitivo/distruttivo che la nostra specie esercita sull’ambiente. Bolsonaro docet.
Avessimo avuto cognizione e coscienza di questo per tempo, forse non saremmo in questa situazione. Ma non vale.
Vale quello che avremmo imparato quando sarà finita, quando Coronavirus lascerà il posto ad Orbanvirus, quando e se la nuda esistenza biologica ci farà capire che siamo specie fra le specie, quando, e se, realizzato questo, possiamo capire dove abbiamo sbagliato e come possiamo fare meglio.
Concludiamo con la proposta di una fra le pochissime voci serie ascoltate in questo periodo: l’intervista ad Ernesto Burgio su Radio Onda Rossa. Qui. Buon ascolto.