Il fucile da caccia
Non c’è problema, il fucile da caccia con il quale spesso gli uomini, in genere mariti o ex, ammazzano le donne è sempre regolarmente denunciato. I giornalisti che si occupano della cronaca ci tengono tanto a precisarlo, come se il delitto, con un fucile regolarmente detenuto fosse meno delitto, come se il detentore, a posto con licenza e versamenti fosse meno assassino.
Sembra che quel “regolarmente detenuto”, quella “doppietta regolarmente denunciata” garantiscano anche per la regolarità, contributiva e morale dell’uomo.
Così oggi un uomo, a Manzano, uccide la moglie, poi prende la macchina e va in caserma a costituirsi. Tutto lineare e regolare ma talmente regolare da essere, proprio per questo, mostruoso.
Sembra l’applicazione di un protocollo, la standardizzazione di una via di uscita dai problemi alla maniera degli uomini: l’uccisione della donna con l’arma in dotazione. Siamo sicure che se si analizza il bollettino di guerra che le nostre compagne aggiornano puntualmente, tra i femminicidi, si troveranno carabinieri, finanzieri, militari, vigili urbani, guardie giurate, collezionisti e cacciatori… Ecco, se ce l’hanno la usano.
Sia chiaro: gli uomini uccidono le donne anche senza il fucile da caccia; le uccidono con tutto quello che gli capita a tiro e anche a calci e pugni. Sono passati solo tredici giorni da quando a Latisana, sì e no, cinquanta chilometri da Manzano un altro è accusato per scaricato in un canale il corpo massacrato a botte della sua convivente.
Due donne uccise in famiglia, in poco tempo e in breve spazio.
Una ordinaria carneficina che nell’indifferenza omertosa e complice, nel familismo silenzioso e ipocrita, nella cronaca velatamente sessista, alla fin fine susciterà meno indignazione di una doppietta detenuta illegalmente.