Il cervello del sesso debole invecchia più lentamente

Novità annunciata a Spoletoscienza dalla psichiatra americana Nancy Andreasen

SESSO forte? A muscoli, forse. Quanto al cervello, meglio sorvolare. Esso invecchia più precocemente negli uomini che nelle donne. Precisamente con dieci anni di anticipo, a partire dai 45 per il "sesso forte" e dai 55 per il "sesso debole". Novità annunciata a Spoleto scienza dalla psichiatra americana Nancy Andreasen, cattedra all’università dello Iowa.La Andreasen dirige una ricerca, non ancora ultimata, per studiare le differenze tra uomini e donne, specie per quanto riguarda il loro modo di pensare, con l’ausilio di tecniche diagnostiche che, ad esempio, consentono di misurare lo spessore della corteccia cerebrale, oltre al quoziente d’intelligenza, mediante l’intensità del flusso di sangue al cervello; o con l’aiuto dei più avanzati strumenti di risonanza magnetica che producono "lastre" del cervello simili ad altrettante "impronte digitali" dell’attività cognitiva. «Ma certe differenze dipendono pure dalla diversità dei test con cui se ne ottiene conferma o smentita», osserva il professor Menotti Calvani, direttore scientifico della Sigma-Tau e vice presidente della Fondazione che organizza Spoletoscienza, il quale ricorda che da simili ricerche si è persino scoperto che le donne hanno "più naso" degli uomini, l’olfatto più accentuato.«Prima che uomini (o donne), siamo animali, e prima ancora esseri materiali composti di molecole», avverte Edoardo Boncinelli, il più noto genetista italiano, che alla XIV edizione di Spoletoscienza (sul tema "Differenza e identità"), ha anticipato le osservazioni del suo prossimo studio, intitolato Io sono, tu sei (da Mondadori, a settembre). Per spiegare, ad esempio, come soltanto nella specie umana – senza troppa differenza tra uomini e donne – esista "l’amore romantic «Deriva dal fatto che uomini e donne restano bambini per molto tempo, dopo che il nostro cervello (a differenza di quello degli animali, subito completo) ha finito di maturarsi intorno ai 15 anni di età», sostiene Boncinelli, definendo questa umana prerogativa un «prolungamento della vita sotto tutela».


Quanto a identità e differenza, se le particelle elementari (molecole, atomi) non ne hanno alcuna, è da quando nasce la vita e ogni cellula racchiude in sé anche il proprio genoma con precise istruzioni genetiche (diversamente dalla materia inerte, come un sasso), che si può parlare della permanenza di determinate prerogative attraverso il mutamento. E poi bisogna fare i conti con la "coscienza", per sapere chi siamo e perché siamo proprio così. «E’ come un imbuto, o meglio un clessidra – è la metafora di Boncinelli – attraverso cui scorrono le elaborazioni della mente».

Ma perché, dunque, siamo sempre identici e al tempo stesso diversi da noi stessi? Bella domanda pure per la filosofia che, in passato, risolveva il problema (non meno della teologia) con l’immortalità dell’anima, eterna ed immutabile. Anche le cose del pensiero sono cambiate – ricorda a Spoletoscienza il filosofo Remo Bodei – da quando si è cominciato a riflettere sull’esistenza dell’Io, a cominciare dalla "personal identity" coniata da Locke nel 1694. Più di un secolo prima, Montaigne diceva che siamo fatti di tanti pezzetti che ci rendono più diversi da noi stessi che dagli altri. E più si è "diversi" (fino alla follia, come in tante menti eccezionali), più ne soffre l’identità personale, la fragilità dell’Io. «Ci salva la stupidità»: ecco la cura che Montaigne non poteva applicare nemmeno a se stesso.

Pietro Trivelli
Domenica 14 luglio 2002
Articolo recuperato da www.ecologiasociale.org/ecofemminismo

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