Gli infeltriti

“…amor dammi quel fazzolettino, vado alla fonte lo vado a lavaaar…”.
Qualcun*  forse lo conoscerà; è un pezzo di strofa di un canto popolare (qui ve lo godete tutto), di quando c’era una volta che le donne facevano il bucato, e pure con amore, a mariti e fidanzati.
Sui canti popolari, in particolare quelli contadini,  su quello che sono stati come manuali di autoistruzione per donne e uomini all’esercizio dei ruoli prescritti, e soprattutto su come, anche attraverso i canti, si siano costruite la dominanza e la subordinazione, basi strutturali di quello che oggi chiamiamo specismo, anche inteso nella sua declinazione sessista,  ne parla Ivan Cavicchi in un interessante articolo.
Conclude Cavicchi: “…Cosa ci insegna la comprensione dello specismo? Tante cose che per converso ad esempio ci fanno capire quanto importante sia il linguaggio per decostruire delle coercizioni ontologiche e quanto sia importante definire delle contro logiche che prima di ogni altra cosa rigenerino il genere perduto ecc. Ma a parte ciò, mi chiedo lo specismo è un fenomeno antropologico del passato? …
Neanche detto, ecco irrompere l’implacabile presente con le sue risposte dal web: che cosa ti troviamo il giorno dopo l’8 marzo? Questo: una si appresta a fare la lavatrice mettendoci dentro i pantaloni del fidanzato, controlla le indicazioni di lavaggio sull’etichetta in coda alle quali sta scritto: “…altrimenti dalli alla tua donna, è il suo lavoro”.
Amooor dammi quel pantaloncinooo…
Gli si infeltrissero i coglioni! Ha esclamato una di noi quando ci siamo passate la notizia. E’ irritante, deprimente, ma allo stesso tempo anche patetico, e per noi che il bucato è autogestito, come del resto molte altre cose sicuramente più importanti; è quasi divertente osservare che cosa si dovranno ancora inventare gli orbati dal segno del comando costretti a scrivere sulle istruzioni quello che una volta le donne facevano di default e pure con amooore.
La tipa che ha scoperto the message for men, è una giornalista, sicchè la cosa è finita sul Telegraph e poi sul web ecc. ecc. e poi la casa produttrice, la Madhouse, ha dato la colpa ai cinesi, che sono loro che li hanno fabbricati i pantaloni della vergogna… insomma, la catena della meschinità per una cosa che, anche se pensata con intento ironico, mette in moto la catena dello sciacquone.
Sarebbe certo interessante a tutt’oggi decostruire tutte le pubblicità sui bucati; ma già così, andando a memoria,  si intuisce che ancora molte richiamano con nostalgia quel clima da fazzolettino lavato alla fonte da donne sorridenti, illuminate dal sole, circondate da brezze floreali nei campi di pratoline; qualche uomo in ammollo per la prova tecnica e qualche imbranato in mezzo a matrone che sanno il fatto loro perché il bucato dovrebbe essere il loro mestiere. Difficile schiodarsi da dove si è incastrati, ma intanto provare, c’è sempre una prima volta, e poi, essere infeltriti dentro è molto peggio che esserlo fuori.

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