Femminicidio: il suono di sottofondo della nostra vita
Sì, è come un suono continuo, un acufene che non ci abbandona; puoi fare tante cose, scrivere, pensare, rilassarti, divertirti… che continuamente c’è questo suono, costante, scandito, quasi regolare, di una prevedibilità lancinante. Donne uccise.
E non diremo mai abbastanza quanto sia prezioso il nostro bollettino di guerra che le sottrae alla nuda cronaca passeggera per restituire a noi, per quanto possibile, una storia, una vita, un nome.
E non diremo mai abbastanza quanto invece sia grottesco un dispositivo giuridico puramente punitivo e criminalmente sovradeterminante nei confronti delle donne.
I femminicidi continuano, maturati dentro la loro cultura che implode ed esplode ogni volta che una donna cerca e vuole più libertà per sé, ogni volta che tenta di scegliere, autodeterminarsi; ogni volta che mancano, alle donne come agli uomini, gli attrezzi per affrontare i problemi; attrezzi che non fornisce quel disegno di legge, né questa miscela cannibale che fagocita il “fenomeno” femminicidio, lo impasta con i peggiori valori familisti, te lo ripresenta come sensibilità che dovrebbe indurti a scegliere il prodotto nel quale viene reincarnato.
Oscene operazioni di brandizzazione; se ne sono fatte diverse; quella della sfilata di abiti da sposa con modelle dal volto ricoperto di lividi e sangue, forse è l’ultima e forse no.
E non diremo mai abbastanza di quanto schifo ci facciano queste trovate di “sensibilizzazione” che in realtà rendono perversamente normale, accettabile, perfino fashion corpi di donna tumefatti e morti… e sul senso ironico del “finchè morte non ci separi”, un bel secchio di merda situazionista.
La politica lo ha usato per coprire operazioni repressive, la moda per vendere i suoi prodotti, le comari piddine e affini per promuovere se stesse, tutti rumori molesti che si aggiungono a quell’orribile suono di sottofondo, così sempre più lontano dall’essere eliminato.