Bad and mad

 

femminicidio75Dunque Nicola Garbino che il 17 settembre uccise Silvia Gobbato mentre faceva joggin all’ippovia del Cormor, non è pazzo e cattivo, non è folle, è normalmente normale.
Così, stando alla perizia di Vittorino Andreoli quello che viene ogni tanto in televisione a spiegare come e dove si annida la follia.
Dunque la follia non ci protegge, non avrà la funzione di rassicurare un corpo sociale che per contrapposizione può sentirsi e dirsi sano, guardando all’assassino come ad un corpo estraneo, un alienato e quindi un alieno venuto da un altro pianeta.
Non siamo grandi ammiratrici dei divulgatori televisivi, troppo odiosi i talk show ai quali talvolta partecipano, ma, al di là di questo, di Andreoli si dice, dal suo ritratto Wikypedia -che il cronista del Messaggero Veneto ha diligentemente copiato- che sostenga la compatibilità della normalità con i delitti più efferati.
Nessuna di noi è esperta di diritto né di psichiatria, ma forse non occorre per capire quanto la follia, intesa come condizione di malattia declinata nelle sue diverse espressioni, sia evocata ed invocata ogni volta che, per esempio, un uomo uccide una donna.
Lo si legge nella cronaca, lo si sente nelle esternazioni del coro, nelle interviste di parenti e conoscenti, nello stupore del dire: “sembrava una persona normale”…. sembrava.
Il meccanismo è perverso;  spinge a non vedere la sofferenza ed il disagio dove ci sono, in nome di una normalità omologante che, appena va in frantumi si tenta di ripristinare invocando la certificazione di a-normale per chi è imputato della sua rottura.
Ora, in un rinnovato connubio diritto-scienza, si stanno mettendo a punto nuovi dispositivi di certificazione della “follia” o della “a-normalità” grazie agli strumenti delle neuroscienze e della genetica.
Fece discutere nel 2009 una sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Trieste che riconobbe come base per invocare condizioni  attenuanti, un alterato profilo cromosomico, aprendo la strada alla predisposizione genetica quale motore o determinante dell’azione criminale.
Lo stesso si sta facendo con le sempre più sofisticate tecniche di brain imaging che andranno a ridefinire l’antico tema di imputabilità e vizio di mente.
Saranno questi migliori strumenti per fare la cosa giusta oppure siamo di fronte ad una riedizione del cupo lombrosiano inprinting biologicista?
Potremmo guardare senza sospetto ad un  diritto che incarna l’istituzionalizzazione sociopolitica di questi nuovi saperi scientifici?
Ma soprattutto, potremmo guardare senza sospetto, ad un diritto derivante da una società che “fa finta di essere sana”? Orientata ad isolare l’a-normale con il bisturi della genetica e della visione neuronale, mentre il contesto intorno affoga in un mare di psicofarmaci e continua ad in-formare della sua cultura “malata” le menti delle persone “normali”?
Sì, forse ha ragione Andreoli nel dire che Garbino non è matto.
Qualche giorno fa abbiamo accennato all’uso strumentalmente razzista e xenofobo della nazionalità  come filtro nel commentare casi di violenza; ecco, noi siamo da sempre convinte che la “nazionalità” intesa come inprinting antropologico-territoriale e di conseguenza culturale, conti.
Ma, e questo è importante, se conta, deve contare non come discriminante negativa ma per prima cosa come autocoscienza ed autoanalisi che un popolo deve fare verso se stesso.
Come si migliora sennò, se non si vagliano  le schifezze e le bontà ereditate depositate nei neuroni come si deposita ed agisce “Lo spirito del solaio”, per citare un titolo di Laborit che nello stesso testo ad un certo punto scrive: “… l’aggressività del terrorista, del delinquente è spesso soltanto una terapia empirica e inefficace dell’inibizione dell’azione...”. Un’inibizione che tradotta in friulano fa il paio con la dimensione antica di sotan.
Per un certo verso nell’agire di Garbino si vede anche  una tragedia à le furlane; di stupit, di cocâl, di basoâl, di storloç….; è  dalla quantità di parole che ci sono in friulano per declinare quel particolare stato mentale e sociale che si capisce l’autodiagnosi concreta; più nei fatti codificati dalla lingua che nella coscienza.
Intorno a lui e su di lui ci sarà ora un balletto di perizie… matto, non matto…. e dalla prevalenza dell’una o dell’altra si conteranno gli anni di galera; che una qualche giustizia per l’assurda morte di Silvia ci deve essere.
Ma abbiamo la sensazione che non verrà dallo screening cromosomico, neuronale, psichiatrico, nemmeno dalla quantità di anni del sistema  penitenziario; perchè lì, meno che altrove una società riesce a decodificare se stessa e le proprie patologie.

 

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