3 agosto: giornata di solidarietà e lotta con le donne yazide

Condividiamo l’appello lanciato dalla Conferenza Internazionale delle Donne Yazide. L’appello è per una giornata internazionale di iniziativa contro il femminicidio nel ricordo del genocidio perpetrato dallo stato islamico (IS) sulla popolazione yazida della città irachena di Sinjar.

Le donne sono quelle che hanno subito di più la deportazione con stupri, torture e schiavitù sessuale e con il femminicidio come elemento portante del genocidio finalizzato all’annientamento di tutta la comunità.

Così, nell’indifferenza e spesso nella dimenticanza, si ripete nella storia l’uso del femminicidio come strategia politica, come arma utilizzata a fini di terrore, sradicamento, epurazione etnica.

Karima Guenivet ci aiuta a ricordare: Durante l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990 più di 5000 donne kuwaitiane sarebbero state violentate. Dal 1991 iniziano le ostilità nella ex Jugoslavia, così come inizia non solo l’uso dello stupro, ma anche delle gravidanze forzate, a fini di epurazione etnica. Nell’aprile 1994 lo stesso schema si ripete in Ruanda, dove, secondo i rapporti dell’Onu, circa 50000 donne sarebbero state violentate, torturate, mutilate o uccise. In Algeria e in Afghanistan altre donne subiscono la stessa sorte, non più in nome di una politica di epurazione etnica o di una volontà di sradicamento, ma in nome della jihad.

poi è venuto l’Isis, i suoi complici e Sinjar; ma le donne yazide questa volta, come è scritto anche nell’appello, hanno anche gettato via il loro vittimismo e adesso determineranno e assumeranno il controllo del loro destino organizzate come Movimento delle Donne Yazide Libere (TAJÊ) a Sinjar ed in Europa.

Noi siamo con loro.

Qui sotto l’appello e poi un’estratto di testimonianze di donne Yazide tratte dal libro “Per amore – La Rivoluzione del Rojava vista dalle donne” un’autoproduzione di Silvia Todeschini che abbiamo incontrato nello spazio autogestito Tai Gjai il 18 dicembre 2016

Appello per una giornata internazionale di iniziativa contro il femminicidio attraverso la nostra organizzazione congiunta!

Il 3 agosto 2017 è il terzo anniversario dell’attacco genocida del cosiddetto Stato Islamico (IS) sui curdi Êzidi (Yazidi) della città irachena del nord di Sinjar. A partire dal 3 agosto gli attacchi e i massacri hanno causato una catastrofe umanitaria, ma soprattutto avevano l’obbiettivo genocida di sradicare l’intera comunità yazida. Le donne sono state sistematicamente prese di mira nell’ambito di questo genocidio e dunque ha anche costituito un femminicidio.

il 3 agosto 2014 il mondo è divenuto testimone degli attacchi genocidi da parte di ISIS, che aveva l’obiettivo finale di eliminare una delle più antiche comunità religiose nel mondo, gli yazidi. Resa impotente e senza difesa quando le truppe peshmerga del Partito Democratico del Kurdistan (KDP) si erano ritirate senza un avviso preventivo dalle loro posizioni a Sinjar , la comunità yazida ha sofferto sistematicamente il massacro, lo stupro , la tortura , lo sfollamento, la schiavitù di ragazze e di donne e l’arruolamento forzato di ragazzi come soldati bambino.

Rapporti non ufficiali mostrano che nel corso dell’assalto oltre 5.000 donne e bambini sono stati rapiti e venduti nei mercati di schiavi. Le donne e le ragazze sono state vendute nell’iraq settentrionale ed in Siria ma anche in paesi come l’Arabia Saudita, dove continuato ad essere tenute e sfruttate come schiave del sesso.

Le Nazioni Unite hanno ufficialmente definito gli attacchi di IS sugli yazidi come un genocidio. Per la comunità religiosa yazida questo genocidio è solo il 74° genocidio in tutta la loro storia. con questo genodicio nel 21° secolo hanno dovuto affrontare l’amarezza della loro esistenza, il loro credo e la loro libertà possono essere assicurati solo attraverso l’autodeterminazione, l’auto-organizzazione e l’autodifesa. Le donne in particolare hanno in questo processo di auto-organizzazione un ruolo vitale in risposta al genocidio e al femminicidio. Esse hanno anche gettato via il loro vittimismo e adesso determineranno e assumeranno il controllo del loro destino organizzate come Movimento delle Donne Yazide Libere (TAJÊ) a Sinjar ed in Europa.

La comunità religiosa yazida si trova di fronte ad una sfida enorme nel mantenere questo livello di organizzazione poichè innumerevoli donne yazide, ragazze e ragazzi rimangono ostaggi di IS. In questo contesto anche il femminicidio contro le donne yazide prosegue. La Conferenza Internazionale delle Donne Yazide ha dichiarato l’11 e il 12 marzo 2017 a Bielefeld/Germania che allo scopo di liberare le donne yazide è necessaria una lotta efficace a un livello internazionale e ha dichiarato il 3 agosto come Giornata internazionale di iniziativa contro il femminicidio.

Il femminicidio interessa a tutti noi. L’uccisione sistematica di donne a causa del loro genere costituisce un fenomeno globale e comprende la violenza fisica, mentale, economica e strutturale contro le donne. La violenza specifica di genere minaccia la vita di miliardi di persone in tutto il mondo, mentre gli autori rimangono indisturbati e impuniti, proprio come nel caso del femminicidio di IS.La ragione di questo è che, a differenza del genocidio, il feminicidio non è considerato una categoria distinta nel diritto nazionale e internazionale.Tuttavia, il genocidio spesso avviene per via del femminicidio, proprio come nel caso di Sinjar.

Ecco perché invitiamo le donne del mondo a dichiarare il 3 agosto come la Giornata Internazionale d’Iniziativa contro il Feminicidio e per sensibilizzare a livello internazionale le donne sequestrate, schiavizzate e assassinate di Sinjar.Il Movimento delle Donne Curde in questo giorno avvierà diverse manifestazioni e alzerà la voce per la libertà delle donne yazide.

Unisciti a noi e contattaci per pianificare insieme le attività e per pubblicizzarle. Organizza le tue attività in città e paesi.Registra le tue attività e invia le tue foto e i video in modo da poterli condividerli sui social media e mostreremo alle donne yazide che donne in tutto il mondo sono schierate con loro.

Facebook: Ezidi Jin
Mail: ezidi.women.struggle@gmail.com
Movimento delle Donne Yazide Libere (TAJÊ)

Testimonianza di Rade 15 anni“Prima che Daesh attaccasse non sapevamo molto su di esso: Le voci che giungevano ci riempivano di paura, dicevano che era orribile, che uccideva tutt*, queste voci ci terrorizzavano. Però in città, sapevamo che c’erano i Peshmerga, i combattenti del PDK, il partito di Barzani: la gente si fidava, pensavamo che ci avrebbero protetti. Tre mesi prima che il massacro iniziasse, attorno a noi c’era comunque Daesh. Hanno cominciato verso le 21.00-22.00 di sera: prima il nemico ha attaccato Girzerik, alcuni civili avevano le armi e resistevano e, anche mentre si combatteva, i traditori del PDK non ci metterono in guardia sul fatto che la guerra stava giungendo in città. La notizia però era arrivata e mio padre è andato da quelli del PDK a chiedere un’arma per poter resistere e difendersi, loro non gliel’hanno data. Girzerik ha resistito fino alla mattina, successivamente Daesh è arrivato a Shengal. Abbiamo ricevuto la notizia che Girzerik era caduta: a quel punto significava che anche Shengal sarebbe caduta. La sera prima erano arrivate a piedi anche donne e bambin* dei villaggi circostanti, e quella mattina tutte cercavamo di scappare, c’era un grande caos. Daesh è arrivato dentro Shengal e la gente scappava tutta. Noi avevamo una macchina e un trattore, avevamo Daesh alle calcagna, ad un certo punto ci siamo trovate circondate, eravamo 70 persone. Poi siamo riuscite a scappare, Mio padre era nel nostro quartiere, mentre mio fratello è riuscito ad avere un fucile dalle HPG (Hezen, Parastina Gel, legate al PKK). Abbiamo potuto scappare dalla città solo quando i mezzi del PDK se ne sono andati e ci siamo rifugiate sulle montagne, tenevamo le luci spente per non farci vedere, continuavano a girare voci guidate dal terrore, dicevano che Daesh era vicino, che stava arrivando dove ci trovavamo. Eravamo senz’acqua, alcune, soprattutto le anziane, non potevano camminare, avevamo sempre paura che ci vedessero, mia sorella era senza forze e siamo riuscite a ripartire solo quando mio padre è riuscito a trovare dell’acqua per lei.

Mio padre si è unito alle/ai compagn*. Non lo sapevamo, non ce lo ha detto subito, e noi non avevamo capito dove fosse andato. In realtà lui conosceva i/le compagni prima del massacro, in città c’erano tre compagn* e l* conoscevamo…”

Testimonianza di Sabiha 18 anni “Il PDK non ha aiutato affatto, anzi si può dire che questo massacro ci sia stato scaraventato in testa proprio da loro. Loro sono la mano di Daesh che ci ha massacrate, sono loro che hanno venduto Shengal a Daesh. Chi dà il supporto politico a Daesh, di nuovo sono loro.

…Prima del massacro non conoscevo il pensiero della guida Ocalan (la parola curda serok è stata tradotta con guida anziché con leader perchè Ocalan stesso chiede di essere chiamato re-heval – compagno, o in alternativa reber -guida), ne avevo solo sentito parlare. Gli ho dato significato al tempo del massacro, perchè sono state le compagne delle YPJ ad aiutare, hanno fornito educazione alle persone, e grazie a loro si sono aperte le YBS-YJS (forze di autodifesa del popolo e delle donne della regione di Shengal), grazie a loro si è potuta costruire la resistenza yazida. Questo modo di pensare, questa filosofia, non è solo per il popolo yazida ma per tutte le quattro parti del Kurdistan, per le arabe e gli altri popoli; per questo tutti combattono contro questo pensiero e gli fanno la guerra: non vogliono che si diffonda. Ciò che più mi ha convinta della giustezza di questa ideologia è stato di vedere le donne imbracciare il fucile. Mi sembrava una cosa buona, ma molto strana, come poteva essere che le donne prendessero il fucile con gli uomini? Questo ha esercitato una grossa influenza sul mio pensiero, prima le donne erano poche a causa della politica che è stata attuata contro di noi. La mia vita stessa, dopo il massacro non è più uguale: ho partecipato ad un perwerde (accademia) per imparare a leggere e scrivere nella mia lingua materna Kurmanji, a questo perwerde hanno preso parte circa venti persone e si è svolto poco lontano; poi ho frequentato anche un perwerde di filosofia o ideologia, dove abbiamo studiato per esempio la cultura e la storia yazida, per poterla insegnare a scuola, e pedagogia, per imparare a costruire un rapporto costruttivo con le studentesse. Faccio l’insegnante, e sono orgogliosa di poter collaborare a costruire la mia società: come ragazza yazida posso aiutare la nostra gente. Adesso anche noi donne, grazie alle compagne arrivate, ci siamo attivate. E’ vero, dopo il massacro è difficile, ma noi donne yazide abbiamo alzato la testa e ci siamo organizzate…All’inizio le famiglie trovavano strano che i/le bambin* studiassero nella loro lingua materna, e per questo abbiamo avuto qualche difficoltà a fare si che ci mandassero le bambine; ma adesso si è instaurato un buon rapporto, perchè se ci sono problemi le insegnanti vanno a casa della studentessa e parlano con la sua famiglia; domandano e cercano di capire che problemi ci sono”.

Testimonianza di Sara 23 anni “Nel 2006 ricordo che sono arrivate le compagne del PKK per la prima volta anche a casa nostra, parlavano del pensiero di Ocalan, ma all’epoca non davo loro molto peso…Le donne di Shengal si davano fuoco: in sei mesi si sono bruciate vive suicidandosi in cinquanta, perchè non vedevano alternative ad una vita che non riuscivano vivere. O accettavano il patriarcato e le violenze maschili, o si uccidevano. Le compagne facevano notare come nonostante cinquanta donne si fossero date fuoco, nessuna si dava da fare per comprendere le ragioni del gesto…Le compagne dicevano che nel mondo gli esseri umani sono tutti uguali, che non debbono esserci classi, che è sbagliato che ci siano oppressi e oppressori…In generale per tutta Shingal, le donne non potevano uscire. Ventiquattro ore al giorno facevano da mangiare, si prendevano cura dei/delle figli*, lavavano i vestiti, certe volte andavano al forno per il pane…Io non accettavo questo, l’ho detto anche a mio padre: com’è che tu esci e che noi non possiamo uscire? Lui diceva che non potevo a causa della società. Diceva che quello che pensavo non era compatibile con la nostra società. Diceva che era stato Dio a dire quello che le donne dovevano fare, ma io so che non è vero…La politica contro le donne funzionava così, quello che veniva detto si diceva che era in nome di Dio…La mia famiglia era contro di me in questa lotta, mio padre e mio fratello non mi lasciavano uscire, l’uomo era tutto, era colui che deteneva le forze della materialità. Però quando siamo scappate da Shingal, sulle mie spalle c’era un fucile, tanto quanto c’era sulle spalle di un uomo…”

Testimonianza di Tekosin 20 anni “Nella società naturale le donne avevano un ruolo importante, ma mano a mano che ci allontaniamo da quella situazione, le donne diventano nullità. Fino al massacro c’erano donne che non riuscivano nemmeno a considerarsi persone, che per muoversi o prendere decisioni avevano bisogno di un uomo. Dopo il massacro non abbiamo più questo impedimento, abbiamo finalmente visto cosa le donne possono fare: le donne fanno quello che scelgono, si prendono cura della famiglia o di una nazione intera…Noi donne possiamo fare tutto. Possiamo prendere decisioni e se un uomo non è d’accordo, possiamo resistere ferme di fronte a lui…adesso, dopo il massacro, vedo che le donne di Shengal si alzano e si reggono sulle loro gambe, chi imbraccia le armi, chi partecipa alle mejlis (assemblee) e al processo decisionale, chi guida automobili, chi diventa comandante…

Prima del massacro sapevo che esisteva il PKK, perchè uno zio era stato con la guida Ocalan a Damasco,…però non avevamo stretti legami, non venivano a farci visita, perchè dopo la caduta di Saddam stavamo con Barzani. Tutta la città di Shingal stava con i peshmerga di Barzani, per questo i/le compagn* del PKK lavoravano di nascosto, il loro partito lottava per la libertà di tutt* ma non veniva compreso in questo modo dalla gente…”

Testimonianza di Hemze, madre di Berivan, giovanissima combattente assassinata dai bombardamenti turchi sulle montagne del Qandil

“Ogni mercoledì ci raduniamo in circa venti donne, insieme seguiamo il perwerde, capiamo chi è nostro alleato e chi è nostro nemico, comprendiamo quali siano i diritti delle donne e impoariamo a difenderci. Ho frequentato anche un’educazione per la diufesa armata, adesso so prendere in mano il kalesh, e in quell’educazione c’erano donne anche più anziane di me. Le compagne delle YPJ sono arrivate e ci hanno insegnato a difenderci oltre che darci la possibilità di imparare andando a scuola. Ogni mercoledì qui c’è lezione, per esempio oggi abbiamo parlato di come sia importante non dimenticarci della nostra natura, abbiamo imparato cose nuove e di questo sono contenta. Questo è un cambiamento in una direzione buona, è la prima volta che vedo un cambiamento del genere.”

Testimonianza di Feride 20 anni “Mia madre con noi era molto brava, faceva di tutto perchè noi figli migliorassimo, ci avrebbe voluto mandare a scuola, ci voleva bene. Prima del massacro diceva che dovevamo fare il nostro lavoro, non fare cose cattive, avere molto rispetto, eravamo povere ma stavamo proprio bene prima del massacro. Ciò che era più sbagliato è che le donne e le ragazze femmine non potevano essere attive in politica, dicevano che per le donne e le ragazze era una vergogna: prima del massacronon era come adesso che siamo impegnate per la nostra società e che sappiamo usare l’arma. La donna era schiava, se le donne uscivano tutte le guardavano male, non c’era fiducia, la mia gente era così. Questo è durato fino al massacro, dicevano che si comportavano così per difendere la nostra dignità, la dignità delle donne; ma è il contrario: cos’è la dignità che vogliamo difendere?

E’ per difendere la dignità di questa terra che ho alzato la testa, dignità significa non lasciare che queste ragazze finiscano nelle mani di Daesh, dignità è alzarsi e combattere.”

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