Psicopatologia del patriarca

Disse il patriarca della chiesa ortodossa Kirill, fedelissimo di Putin, che la guerra in corso è una guerra metafisica.

Nel suo sermone l’operazione militare in Ucraina è una guerra del bene contro il male, male rappresentato dall’occidente ormai preda della corruzione incarnata nei gay pride a sottintendere tutto ciò che, come questo, è opera del demonio, un segnale dell’apocalisse.

Il diavolo ha riso di noi” disse, sempre lui, dieci anni fa alla performance ‘indemoniata’ delle Pussy Riot nella chiesa di Cristo salvatore.

Era il 2012 e il gruppo punk femminista tentò di intonare una preghiera punk contro la rielezione di Putin e contro il patriarca Kirill che credeva più in Putin che in Dio.

Dieci anni dopo eccoli qua, l’uno a benedire e a dare spessore morale alla guerra dell’altro.

C’è un aggressore e c’è un aggredito, c’è un delitto e ci vuole un castigo; così più o meno recita la narrazione mediatica nella quale siamo immers*.

Nella deleteria semplificazione del pensiero che va per la maggiore, non è richiesto null’altro se non uno schierarsi, indicato dalla pressante propaganda di guerra, ad armare l’aggredito.

Memoria, domande, dubbi, coscienze sono mal tollerati se non cancellati.

Eppure bisogna ricordare che se oggi si arma l’Ucraina: 500 milioni di euro come “strumento europeo per la pace” per la fornitura a Kiev di “equipaggiamenti letali e non letali”; e il governo italiano si è impegnato ad un aumento delle spese militari fino a 2% del pil (dai 26 miliardi di oggi ai 38 di domani); ieri si armava Putin (Francia per prima, Germania, Italia per terza, Austria, Bulgaria e Rep Ceca a seguire), il male assoluto che oggi cannoneggia l’Ucraina, con milioni di euro in armi. (1)

Bisogna avere contezza e memoria delle guerre della NATO, della Bosnia, dell’Iraq, della Somalia, dell’Afghanistan, della Libia per i cui mort* e profugh* nessuno ha mai sollecitato attenzione, aiuto e solidarietà…

Che forse le guerre della NATO sono più giuste e i/le mort* sono meno mort* di quell* che Putin sta facendo in Ucraina oggi?

Bisogna avere memoria dei cadaveri che pesano sulle guerre chiamate “missioni umanitarie”, sulle “esportazioni di democrazia” così come ne dovremmo avere per i/le mort* del Donbass (34.766 contati dall’Onu), così come dovremo averne, oggi e in futuro, per questa “operazione militare speciale”.

Lo sbeffeggiamento mediatico dei “né…nè” è un modo per dare un colpo di spugna al passato e al presente scomodi.

Facciamo finta che Dugin, l’ideologo di Putin, nel 2019, non sia mai stato applaudito nel salone del castello di Udine quando, nel suo tour italiano acclamato da neofascisti, sovranisti e gente varia con il patrocinio di Fontanini, parlava di identità, di Eurasia ovvero del ritorno della grande Russia e, – applausi calorosissimi – di donne mistero di Dio. (madonna mia!)

Era il lontano 2008, quando lo stesso dichiarava che “la Russia non dovrebbe limitarsi a liberare l’Ossezia del sud, ma dovrebbe andare avanti… dovemmo fare qualcosa di simile in Ucraina”.

Ecco, oggi, il politologo-filosofo asserisce che quella in Ucraina non è un’invasione ma un’operazione militare volta a far tornare l’Ucraina nella sfera politica militare e strategica russa… perché l’Ucraina è lì che deve stare e Putin, dall’alto del suo potere e dal profondo della sua psicopatologia, scrive Michele Serra “…ha ragionato, e si è comportato, più o meno come il maschio che uccide la compagna che lo vuole abbandonare. Non riesce a contemplare l’idea di non essere più amato, di non essere più obbedito. Per lui l’Ucraina esiste in quanto ‘sua’, oppure non ha il diritto di esistere. Meglio morta che libera”. (2)

Miche Serra, per dire qualcosa di nuovo, usa una chiave di lettura anti-patriarcale; ma come dargli torto? Il sistema patriarcale è incrostato sui tempi millenari della storia, è pre-politico, arcaico; un atavismo attivo, nelle guerre passate e presenti, ai tavoli strategici dei politici maschi e sui campi di battaglia dei militari dove gli stupri etnici e non sono arma convenzionale.

Un sistema pervasivo, fagocitante, che talvolta si mangia anche le donne che vogliono la loro fetta di successo senza cambiare le regole del gioco.

Ci viene in mente la sindaca di Monfalcone che gioca la sua visibilità, in vista della ricandidatura, con la carta dei profughi: “quelli veri”, perché, dice lei “… questa tragedia della guerra ci ha dimostrato che ci sono profughi e …’profughi’. Quelli veri, che ti fai in quattro per aiutare (e dopo annunceremo le misure che ieri sera fino a tardi abbiamo organizzato) e quelli che sono arrivati a gruppi di soli uomini e con tutto il ‘contorno’ che conosciamo, purtroppo. Finché avrò possibilità AIUTERO’ QUELLI VERI. Il politicamente corretto non fa per me e come ha detto un mio amico: ‘Non stemo a confonder la disponibilità con la stupidità’”.

Nelle sue parole c’è tutta la tragica ipocrisia dell’occidente che lascia soffrire e talvolta morire di fame e di freddo donne e bambini ai confini dell’Europa sulla rotta balcanica, che li lascia annegare nel mare mentre qui si annega in un mare di retorica e propaganda.

La stessa di Putin a casa sua e quella della NATO a casa nostra.

Come uscirne?

Intanto diamo voce alle femministe russe contro la guerra perché, come scrivono loro: “siamo l’opposizione alla guerra, al patriarcato, all’autoritarismo e la militarismo. Siamo il futuro che prevarrà”

NOTE

(1) Dettaglio su “Il Fatto Quotidiano” del 17.03.22

(2) La Repubblica 03.03.22

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