8 MARZO DEL NOSTRO TEMPO

Proviamo a dirlo con le parole di Paul Preciado che: “malgrado tutto, questo è il nostro tempo.

Non abbiamo avuto fortuna, ragazzi miei.

E’ il tempo dei resti, delle rovine, degli scarti e dei sopravvissuti del produttivismo, del patriarcato, del binarismo eterosessuale, del razzismo gerarchico, del complesso carcerario, dell’industria farmaceutica, dell’impero digitale pornografico, della sorveglianza internazionale, del viaggio coloniale, in America come nello spazio…

Questo è il nostro tempo, un tempo che è malato, assetato, bruciato, analfabeta, smarrito e quasi morto. Ma è comunque il nostro.(*)

Una sfilza di aggettivi tristi; un tempo malato sì, per una pandemia mal gestita e malcompresa le cui origini gravano sull’incoscienza tutta umana della distruzione degli habitat naturali; un tempo biologicamente malato che abbatte confini interspecifici che vanno rispettati e socialmente malato che innalza confini intraspecifici di terra e di mare per eliminare gli/le esclus* dal banchetto del capitale.

Un tempo assetato; qui da noi, mai come ora, per la prima volta abbiamo visto spegnersi le fontane per mancanza d’acqua nelle falde artesiane… abbiamo visto i raccolti secchi e abbandonati e la stessa ottusa ostinazione nella persistenza dellagricoltura intensiva e degli allevamenti industriali… ma: “acqua in bocca”; la prossima pandemia forse verrà da lì, si chiamerà aviaria, così dice chi osserva le migrazioni virali parlando sottotraccia in un tempo che rimane analfabeta anche se annega in un mare di informazioni e dati convertiti in moneta sonante nel sistema di controllo infocratico in cui anche l’umano è prodotto dissolto nell’algoritmo…

un tempo smarrito, che non ricorda il suo passato, che spesso manipola e riscrive la storia per renderla appetibile ad un presente addomesticato e fascista di ritorno; un tempo smarrito che non sa perché si trova al punto di non ritorno climatico-ambientale…

Ciononostante noi restiamo soggetti sognanti: un tempo l’8 marzo era la giornata internazionale per i diritti delle donne… giorni in cui si rivendicava libertà contro le oppressive idee patriarcali, dal lavoro riproduttivo a quello domestico e di cura, contro ruoli e violenza di genere e si rivendicava la propria autodeterminazione… lo è ancora, coniugato in un contesto contro la guerra, contro la tortura di stato, contro un sistema capitalista, coloniale e razzista… perché le vite delle donne e con loro, di tutt* gli altri soggetti minorizzati valgono.

Eppure, talvolta, quando le vite delle donne riescono a contare, è un disastro.

Due esempi : uno in generale → ministra del consiglio sulla quale non spendiamo parole, e uno in particolare: → direttrice centrale attività produttive e commercio della regione FVG; donna emergente nel team regionale che spalanca le porte della bassa friulana, della laguna di Marano all’insediamento della mega acciaieria che da Mariupol (Ucraina) rinasce a San Giorgio di Nogaro grazie ai magnati di là e di qua. Una allucinante e irreversibile devastazione ambientale e sociale.

Sono queste donne e molti uomini, con loro e prima di loro che, come scrive ancora Preciado, fanno pensare “Il futuro non tanto un’affermazione di vittoria, quanto il bilancio di una battaglia persa”.

Occorrono un’etica ed un progetto politico diversi. Evidentemente non è sufficiente contare e valere per fare la cosa giusta.

Nel corso degli anni, di otto marzo in otto marzo, abbiamo cercato di trovare ciò in cui potessimo star bene come soggetti, umani e non umani in reti di relazioni, per identità, aspirazioni, luoghi di vita e di enunciazione, ontologia insomma; questo luogo ideale e reale lo abbiamo chiamato “ecofemminismo”, come altr* prima di noi e altr* dopo di noi, ognun* nella propria declinazione.

Sì, nell’8 marzo di questo tempo,“….Se qualcosa è possibile, accadrà oltre lo stato nazione, oltre la catena produzione-consumo, oltre il mercato. Al di là delle tassonomie razziali. Al di là del binarismo di genere…”; per noi, accadrà lì dentro, o lì fuori, in una dimensione anarchica, ribelle, progettuale, femminista, eco-logica.

Questo tempo malandato è comunque il nostro. Riprendiamocelo.

(*) Internazionale 26.02.23, Paul Preciado “Essə sono il futuro”

Dumbles gruppo di ricerca ecofemministaRete ecofemminista dumbles.noblogs.org           

PS: a proposito di ecofemminismo nel retro riproponiamo uno stralcio da uno scritto del 2014 pubblicato su Germinal-giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Isontino, Veneto, Slovenia e… a chi interessa, buona lettura 🙂

Femminismo/Ecofemminismo nomi e prefissi di una password per il futuro

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Il prefisso prima del nome

A questo femminismo noi abbiamo aggiunto il prefisso “eco”.

Siamo, politicamente parlando, prevalentemente di provenienza anarchica: ma al prefisso anarco- abbiamo preferito quello “eco”-; all’accento sulla dimensione politica abbiamo preferito quello sulla contestualizzazione ambientale che, per noi, ovviamente non ha niente a che vedere con l’ambientalismo.

Era il 1992 e non ci risulta che allora ci fossero, nell’ambito nazionale altri collettivi caratterizzati in questo senso…

Oggi non siamo le sole a definirci ecofemministe. Altri collettivi mostrano sensibilità in questo senso.

Non è questo il contesto nel quale fare una ricognizione dell’esistente, né degli studi accademici in merito; restiamo alla connotazione – la nostra- con una certezza: tanti femminismi, tanti ecofemminismi; il dibattito è aperto, le sfumature tante, … tutta vita!

Parlando di noi, se dovessimo aggiungere ancora qualcosa alla connotazione politica, negli ‘anti’ dovremmo mettere ‘antiscientista’ e magari all’”eco” del prefisso dovremmo aggiungere un “.

etno”

E’ quest’ultima forse la caratterizzazione più problematica, non per noi che la adotteremmo volentieri, ma per il problema di farsi capire su questo piano così scivoloso politicamente e così delicato relazionalmente. Il nome friulano “Dumbles” il il dirsi feminis furlanis libertaris riassume il fatto che si vuole essere quello che si è nella propria lingua e nella propria terra.

Sembra una banalità, ma ha spesso generato incomprensioni, conflitti e tensioni collegate ad accuse di leghismo, tradizionalismo, arretratezza rispetto alla dimensione globale delle soggettività.

Non c’è sufficiente spazio per entrare nei particolari di questa antica questione “etnonazionalitaria” (non nazionalista!)… ma che respiro di aria fresca vedere e sentire le combattenti curde che, mente combattono per difendere Kobane, quando stanno al campo riprendono ad imparare la lingua curda cancellata dal regime dominante perché a scuola dovevano scrivere e parlare in arabo…

E anche questo riapprendere o mantenere la propria lingua, in una prospettiva libertaria, non è certo un percorso istituzionale; è qualcosa di diverso da quanto succede qui da noi, perlomeno con l’insegnamento del friulano che è diventato un altro modo per sterilizzare le meravigliose molteplicità e sfumature espressive con la gabbia della koinè.

Le lingue sono un po’ come creature viventi, si sviluppano, cambiano, si evolvono, si moltiplicano… sono un anticorpo contro l’omologazione soggettiva ed ambientale.

Non è forse la lingua, oltre che espressione ontologica anche significazione ambientale?

Qual’è allora la natura dell’”eco”?

Intanto c’è un”eco” antiscientista, cioè una critica a quella scienza che, per parafrasare un testo collettaneo del dopo Cernobyl, non solo non ha né coscienza né senso del limite, ma soprattutto quella scienza che si è autoproclamata neutra e perciò non condizionata dai suoi attori mentre, la coincidenza tra razionalità e dominio, dimostra invece tutta la sua natura sessuata e politica.

Sono state le epistemologhe femministe, i lavori di Sandra Harding, di Donna Haraway, di Evelyn Fox Keller ed altre a mostrarci questo aspetto.

Dovremmo perciò riuscire a guardare alla natura con altri occhi: con quelli di una scienza situata -che non prescinde dall’occhio di chi guarda, che non ha la presunzione di essere universale; come suggerisce Haraway, dovremmo adottare una epistemologia radicale che nega la possibilità di accesso ad una mondo reale da un solo punto di vista obiettivo e privilegiato, stabilire invece una serie di scambi provvisori mai conclusivi o eterni… di saperi situati in grado di decostruire i poteri della “ragione” e della razionalità… E’ questione di soggetti in campo, pratiche, procedure, temi, tecniche… risultati che a noi arrivano con l’etichetta incontestabile denominata “progresso”.

Pensiamo alla sperimentazione animale, pensiamo alle tecniche ed agli obiettivi della procreatica, della manipolazione genetica e via discorrendo; pensiamo agli ogm e pensiamo al grande problema del cambiamento climatico di fronte al quale anche i negazionisti più duri si vedono surclassati dai fenomeni che intendono negare.

Questa scienza si è fatta beffe dell’ecologia; non ha ragionato per interconnessioni ma per separazioni; e allora, sì, è indispensabile pre-mettere una dimensione eco-logica.

Siamo nei giorni intorno al 25 novembre e per l’occasione Marina Terragni ha scritto un post richiamando la dichiarazione approvata un anno prima dall’IWECI (International Women’s Earth and Climate Summit), post nel quale sostiene l’idea che la violenza compiuta sulle donne è la stessa perpetrata contro la terra. Con piacere vediamo la presa di coscienza e l’impegno intorno al cambiamento climatico, eppure… eppure anche questo è un terreno molto scivoloso.

Non si può uscire dalle dicotomie create dall’ordine gerarchico sul quale si è costruito il dominio: una fra tutte: natura/cultura (categorie nelle quali viene ascritto l’essere femminile e quello maschile; in senso negativo il primo e positivo il secondo) e semplicemente rovesciare la prospettiva.

Per quanto siano storicamente determinati ed accertati i danni (la violenza) perpetrati all’ambiente ed altrettanto le violenze subite dalle donne non troviamo appropriato mantenerle sullo stesso piano ricreando, se pur attraverso la metafora e l’intento riparatorio, un unico indifferenziato che nella sua prospettiva più radicale arriva dritto all’ecologia profonda.

Natura è natura; donna è donna; e donna non è natura, perlomeno non più di quanto lo sia anche l’uomo da un punto di vista biologico.

Il prefisso “eco” perciò, almeno per quanto ci riguarda ci riconduce a quella citazione da Muriel Rukeyser: “The Universe is made of stories, not of atoms”; che ci suggerisce la presenza della storia… di una freccia temporale, un’evoluzione all’opera, una rete di interdipendenze, una autocoscienza situata che ci permette di osservarle e parlarne.

La gerarchia fatta di dicotomie e giudizi di valore per dare legittimità alla prevaricazione ed al dominio che vi si è sovrapposto come unica via di “progresso” possibile, continua ancora ad agire con i modi che purtroppo conosciamo (e subiamo) nella realtà dal capitalismo globale, dello sfruttamento, della negazione dell’autodeterminazione di soggetti e di popoli ecc. ecc. … e allora…. C’è sì un femminismo necessario ed una necessità di coniugarlo ognun* nella propria dimensione, così come, per noi, è importante la necessità di evolverlo e sostanziarlo con ciò cui abbiamo accennato qui sopra.

‘Eco’ è anche una parola; maschile e femminile allo stesso tempo; è la riflessione delle onde sonore che tornano indietro a chi le ha emesse… ecco… è lo specchio di ciò che facciamo.

Un semplice prefisso per un diverso progresso.

Dumblesfeminis furlanis libertaris Novembre 2014

 

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