Seppellire e punire
Abbiamo letto della denuncia di una donna che dopo un aborto terapeutico ha scoperto al cimitero Flaminio di Roma il suo nome e cognome su una croce piantata nel punto dove il feto era stato sepolto.
Ci è venuta in mente la colonna della berlina. In Friuli ne è rimasta qualcuna in vari paesi; una a Moggio Udinese con data 1653 e l’incisione “supplicio dei malfattori”. E’ collocata tra l’abbazia e quelle che erano le carceri; a significare da chi era esercitato il potere. La gente che vi passava davanti, insultava, derideva e sputacchiava il reo incatenato alla colonna e poteva andare alle funzioni religiose con la coscienza a posto.
Già… che ci dice il nome della donna scritto a sua insaputa sulla croce posta a segnalare la sepoltura del feto abortito?
Una sepoltura non richiesta, una croce non voluta, un nome rubato, una condanna inflitta.
Che tutti sappiano che quella donna ha abortito ovvero, che chi visita il cimitero dei feti possa in cuor suo condannarla, che possa indicarla ed insultarla se la conosce ed eventualmente la incontra.
Non c’è niente di nuovo, come dice l’espresso è una vergogna che dura da più di vent’anni; noi ne avevamo parlato qui e là; da allora nulla è cambiato se non peggiorato.
In due parole: l’accesso all’aborto è sempre più difficile, i consultori ti remano contro, l’aborto farmacologico è più fantascienza che realtà e l’aborto terapeutico è spesso una tortura, come raccontato qui.
Leggete e poi pensate all’atto finale in cui la stessa narratrice potrebbe trovare il suo nome crocifisso in uno dei cimiteri dedicati. Ecco. Women’s live don’t matter.
Manca il respiro ma monta la rabbia.
La donna che racconta dice che non si presenta con un nome, né il suo né di fantasia, perché potrebbe essere il nome di molte altre; di fatti è così.
Allora, anche su quelle croci infami mettiamo il nome di tutte, tanti nomi tanti cognomi, identifichiamoci e rivendichiamo, ribaltiamo la croce che ci danno addosso.